Ormai ci siamo. Dopo la pausa durata l’equivalente di due estati e qualcosa, per bambini e ragazzi torna il tempo della scuola. Una scuola che riparte in salita, fra la necessità di garantire condizioni di sicurezza a studenti e insegnanti e l’incognita Coronavirus che con l’autunno potrebbe tornare minaccioso e richiedere nuove chiusure.
Le linee guida emanate a fine giugno dal Ministero dell’Istruzione e approvate dalle Regioni hanno dato autonomia ai singoli istituti, ma con alcune misure obbligatorie, come ad esempio il distanziamento, la pulizia costante degli ambienti scolastici e la disponibilità di gel igienizzanti e saponi. La campanella in Toscana, come in molte altre regioni è prevista per il 14 settembre, ma già dal primo del mese le scuole di istruzione secondaria di secondo grado – le cosiddette superiori – aprono i portoni per il recupero dei debiti formativi.
L’estate dei dirigenti scolastici è trascorsa fra acquisti di arredi idonei alla nuova situazione, la conta degli insegnanti necessari e la spasmodica ricerca di spazi alternativi, come mense, palestre e teatri, ad aule troppo strette per le esigenze di distanziamento fra gli alunni. Con un unico obiettivo: tornare a scuola in presenza, eliminando o riducendo al minimo la didattica a distanza.
Una richiesta manifestata a più voci, da insegnanti, studenti e soprattutto dai genitori, come quelli riuniti nel Movimento Priorità alla Scuola – nato a Firenze ma poi diffusosi in tutta Italia – che guarda anche ai mesi più freddi, proponendo all’interno delle scuole un presidio sanitario con un medico in collegamento con la Asl. «Non possiamo accettare che al primo raffreddore di un alunno un dirigente scolastico chiuda un intero plesso» dichiara Costanza Margiotta, esponente del movimento. Mentre chiudiamo questo articolo, il processo organizzativo è ancora in corso. Da molte parti arriva però l’invito a cogliere l’occasione per cambiare, in meglio, la scuola nel suo complesso. I risultati si vedranno alla riapertura.
E mai come quest’anno sulla scuola sono puntati gli occhi dell’intero Paese.
Disparità e disagio
Nel mondo sono stati oltre 1,5 miliardi gli studenti colpiti dalla chiusura delle scuole, in Italia il lockdown ha obbligato a casa 8 milioni e mezzo di bambini e ragazzi. Il nostro Paese ha affrontato questo shock partendo da una situazione di svantaggio, in confronto alle altre nazioni avanzate, non solo in termini di digital divide (divario digitale), ma anche di livelli di scolarizzazione e di marcate differenze territoriali. Secondo un’indagine di Con i Bambini e Fondazione Openpolis, in Italia non possiede un pc o un tablet il 12,3 per cento di bambini e ragazzi, ma la quota arriva al 20 per cento nel Mezzogiorno. La Calabria, regione meno connessa d’Italia, è distante di circa 14 punti dal Trentino-Alto Adige, la più connessa. Oltre 1 milione di minori vive in Comuni dove nessuna famiglia è raggiunta dalla rete fissa veloce.
In questo contesto di partenza sono fiorite le disuguaglianze e le condizioni di disagio, perché il divario digitale non incide soltanto sulle competenze prettamente tecnologiche dei ragazzi, ma è parte integrante di un declino verso una povertà educativa più ampia. Che dipende anche da un modo, secondo alcuni errato, di intendere la scuola: «Molti docenti e pensatori continuano a considerare la scuola come un luogo che serve solo per interrogare e trasferire nozioni. Basti pensare a quei professori che durante il lockdown hanno esaminato gli studenti facendoli bendare, per evitare che leggessero durante l’interrogazione, un’assurdità!» afferma Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta, presidente della Fondazione Minotauro che proprio nei giorni del Covid è uscito con il libro Cosa serve ai nostri ragazzi? (edizioni Utet). Secondo Lancini sono i bambini fra i sei e i nove anni quelli che hanno risentito di più dell’assenza di una relazione fisica con i compagni e con gli insegnanti, e saranno quelli che avranno bisogno di maggiori attenzioni al rientro a scuola.
Ludovico Arte, dirigente scolastico dell’Iss Marco Polo di Firenze, è la voce della scuola che parla dalle colonne del quotidiano “La Repubblica”. Sui disagi vissuti dagli studenti nel periodo del Covid racconta: «Al nostro istituto abbiamo un servizio psicologico e mentre all’inizio dell’emergenza ci chiamavano soprattutto i genitori, alla fine abbiamo ricevuto richieste di aiuto da parte dei ragazzi: oltre alle disuguaglianze sociali, che abbiamo cercato di arginare fornendo computer in comodato d’uso, ci sono state situazioni familiari difficili, con studenti che si sono trovati alle prese con separazioni conflittuali, chi vive in casa famiglia, chi ha avuto un genitore che ha perso il lavoro o il lutto per un nonno scomparso. A questo hanno risposto i nostri insegnanti, che si sono fermati spesso, anche se a distanza, a rinsaldare la relazione con gli studenti, a chiedere come stavano vivendo l’emergenza, come si sentivano».
La scuola che vorremmo
Dopo la lunga pausa dovuta al virus, il tempo della ripartenza è anche quello della speranza. Che tutto torni alla normalità, ma non come prima. «Gli ultimi decenni ci hanno portato ad esasperare il ruolo della scuola come luogo dove si formano i futuri lavoratori: così abbiamo formato lavoratori non flessibili, incapaci di adeguarsi, riprogrammarsi e contribuire al progresso del Paese in maniera attiva. Dobbiamo invece recuperare il valore enorme che ha la scuola nel formare i cittadini e riaprirla come luogo di coesione sociale» afferma Filomena Maggino della Cabina di Regia Benessere Italia.
Per Arte, invece, sono quattro le linee del cambiamento post-Covid: «Dobbiamo aprire una riflessione sui numeri, da tempo chiediamo una riduzione degli studenti per classe, e sugli spazi. Noi abbiamo già spazi alternativi alla classe tradizionale, arredi non convenzionali, facciamo lezione all’aperto». Ma la scuola auspicata da Arte è diversa anche per quello che vi si insegna: «Temi come i diritti, il rispetto delle regole, la malattia e anche la morte, centrali nella vita delle persone, non possono essere accantonati. La scuola che verrà dovrà essere sempre più laboratorio del presente e dare più attenzione alle relazioni e alla condivisione».
Relazioni e condivisione, che ci riportano indietro al pensiero di don Milani e alla sua scuola inclusiva che non allontanava i ragazzi difficili, ma anzi li recuperava e ne faceva il fulcro dell’attività educativa. Lo stesso modello di insegnamento che ritorna nel libro di Lancini anche per contrastare i dati allarmanti della dispersione scolastica in Italia: «Voti e bocciature sono spesso rappresentati come i baluardi del rigore e dell’autorevolezza del ruolo del docente, mentre in realtà privano la scuola di altre possibilità».
E aggiunge: «Dimostreranno di aver capito la lezione quegli insegnanti che, ad esempio, agli adolescenti proporranno un sistema di apprendimento meno passivo, valorizzeranno il co-working, cioè il lavoro di gruppo, e un insegnamento che preveda attività di laboratorio, senza pregiudizi e senza l’idea di punire i ragazzi solo perché sono stati a casa tutti questi mesi, visto che non è stata una loro scelta».
Anche per Priorità alla Scuola il momento del cambiamento è adesso: «La scuola che chiediamo è sicura, inclusiva, in presenza, più finanziata perché l’Italia smetta di essere il fanalino di coda sull’istruzione e i nostri bambini e ragazzi possano essere davvero educati con le nozioni, ma anche alla socialità, alla cittadinanza, alla diversità – conclude Margiotta -. Queste sono cose che si imparano solo in classe».
( articolo di Cecilia Morandi e Serena Wiedenstritt)