Dopo 9 anni di guerra, la situazione in Siria continua a essere drammatica e la pandemia non fa che aumentare povertà e mancanza di cibo. Riproponiamo in questo articolo l’intervistarealizzata a maggio con Padre Firas Lutfi, ministro della Regione francescana di San Paolo della Custodia di Terrasanta.
Che conseguenze sta generando il Coronavirus sulla vita delle persone in Siria?
La situazione era già drammatica. Dopo nove anni di guerra, questa pandemia sta aumentando la povertà nel Paese, a seguito delle misure di prevenzione intraprese dopo l’appello internazionale dell’Oms. Per fortuna in Siria non ci sono moltissimi contagiati come invece in altre parti del mondo, ma finché la gente sarà costretta a stare a casa per difendersi dal virus ci sarà carenza di cibo, di bevande e di tutto il resto.
Se un padre di famiglia lavora in modo occasionale per sfamare i suoi cari, come fai a convincerlo a chiudersi in casa? Ad esempio, un papà mi ha raccontato che preferisce la morte per Coronavirus che quella per fame. La gente si trova a fare scelte terribili: morire di povertà o di pandemia. Il virus è la goccia che ha fatto traboccare il vaso: avevamo alle spalle nove anni di emergenza. Anche se questa situazione durerà pochi mesi, sta già portando delle conseguenze drammatiche, che oltrepassano le possibilità di sopportazione della popolazione. Il popolo siriano sperava che il male fosse ormai alle spalle e invece deve affrontare un altro capitolo di sofferenza e morte.
In questa fase, gli aiuti internazionali arrivano in Siria?
Gli aiuti internazionali non arrivano più, perché i Paesi che li mandavano sono stati colpiti dalla pandemia. La situazione è resa ancora più complicata a causa della crisi finanziaria in Libano, che era la principale porta per gli aiuti. In più c’è l’embargo che pesa più sulla vita quotidiana della popolazione che sul governo siriano.
La povertà dopo la guerra riguardava l’80% dei siriani, adesso siamo al 95%: la gente davvero non trova da mangiare e da bere. L’emergenza è diventata ancora più acuta e il grido dei poveri è più forte di prima. In passato c’era la paura delle bombe e della violenza, adesso la principale paura è morire di fame e di sete.
In questi anni con la Fondazione Il Cuore si scioglie, insieme a Fondazione Giovanni Paolo II, Arci Toscana e Ospedale Pediatrico Meyer, ci siamo impegnati per aiutare i bambini di Aleppo con un intervento umanitario. Come possiamo continuare a esservi vicini?
Prima di tutto vorrei ribadire il nostro grazie di cuore per quello che avete già fatto in passato. Il problema della pandemia è che ci ha fatto sentire la nostra fragilità davanti a un nemico invisibile. È fondamentale in questo momento mantenere alta l’attenzione sulla Siria e vi siamo davvero grati perché state continuando a tenere aperta una finestra sulla città martire di Aleppo. I media non ne parlano, perché cercano giustamente di incoraggiare i cittadini a riprendere la speranza e la vita.
Ma dall’altra parte del mondo ci sono centinaia di migliaia di persone che devono affrontare ancora un’altra battaglia, non meno terrificante della guerra stessa. I siriani per nove anni hanno affrontato una guerra infame e terribile, ma la gente da lontano percepiva la vostra solidarietà.
Adesso siamo tutti negli stessi panni: è una guerra diversa che però ci fa sentire l’impotenza nel combattere questo nemico. Siamo tutti nella stessa barca, ma dobbiamo vincere insieme questa guerra contro il virus. Mi ha fatto impressione l’augurio che i bambini del nostro centro hanno rivolto ai bambini italiani, mentre ricevevamo le notizie di quanto avveniva in Italia. La dimostrazione che questo dolore ci ha unito, facendoci sentire un’unica famiglia.
(l’intervista realizzata nel maggio 2020, a cura di Francesco Ricceri e Giulio Caravella)