Perché le epidemie si diffondono con maggior frequenza che in passato? Tutta colpa dell’uomo.

C'è una relazione diretta tra perdita della biodiversità e aumento degli episodi epidemici nel mondo. Intervista a Stefano Mancuso, neurobiologo vegetale, Università di Firenze

«Si ha timore a dirlo: questa epidemia è opera nostra, ma non perché abbiamo creato il virus nei laboratori, quello è complottismo, ma per l’attitudine alla distruzione, tipica del genere umano». Lo scienziato Stefano Mancuso non ha dubbi: c’è una relazione diretta fra perdita della biodiversità e aumento degli episodi epidemici nel mondo. «Se non cambiamo velocemente il nostro approccio al pianeta, di queste avventure ne vivremo molte altre e questa ce la ricorderemo come qualcosa alla fine di poco intenso».

Mancuso è neurobiologo e studia il meraviglioso mondo delle piante, di cui è uno dei maggiori esperti viventi. Spiega che, come pubblicato sulla rivista scientifica “Lancet”, oltre la metà delle epidemie che si sono succedute dal 1940 al 2005 si sono verificate con una frequenza 3-4 volte maggiore di quanto avveniva in passato e come diretta conseguenza dello sfruttamento del suolo, attraverso il disboscamento e la riduzione delle superfici verdi in genere. Ma soprattutto ci dice che a favorire le epidemie è principalmente la perdita di biodiversità, che sta avvenendo oggi a una velocità mai vista in passato.

L’homo sapiens è diventato homo destruens?

La quantità di biodiversità sta diminuendo da quando abbiamo inventato l’agricoltura, circa 12.000 anni fa, ma è negli ultimi decenni che questo processo si è accelerato e ora avviene con una velocità mai registrata prima, neppure durante le estinzioni di massa, come quella dei dinosauri. Oggi siamo nel bel mezzo di quella che è stata chiamata la sesta estinzione di massa ed è tutta opera nostra. Il tasso di estinzione attuale delle specie è da 1000 a 10.000 volte più alto che in passato; significa che il 25% degli uccelli, il 30% dei rettili e più del 50% delle piante potrebbero scomparire.

Qualcuno potrebbe dire: perché dovremmo preoccuparci se distruggiamo un po’ di specie?

Innanzitutto non sono poche specie, ma tantissime, e soprattutto perché la nostra sopravvivenza è collegata a quella delle altre specie. Come in economia, se uno degli elementi del sistema si inceppa, tutto si blocca, così è per la vita sul pianeta. Non pensiamo mai che noi uomini siamo parte di una rete, che ci permette di vivere: senza le piante, ad esempio, non respiriamo e non mangiamo. Ci sono una serie di nessi, cause e concause, dei nodi che formano una rete. Se andiamo a distruggere questi nodi, come stiamo facendo, andiamo incontro a catastrofi.

Quali conseguenze avrà l’uso scriteriato delle risorse del pianeta?

I danni saranno esponenziali e non completamente prevedibili. Se si scioglie la Groenlandia, dove la copertura dei ghiacci si è ridotta del 30% rispetto a venti anni fa, il livello del mare aumenterà di 6 metri. Noi riscaldiamo il pianeta e ce ne freghiamo altamente, ma dovremmo immaginare che l’aumento di 4-5 gradi della temperatura media, dall’inizio del secolo scorso alla fine di questo, non può non avere conseguenze.

Ci vorrebbe un green deal, una svolta verde a livello internazionale.

Prima del virus, la situazione sembrava migliorare, la consapevolezza per l’ambiente era in crescita. L’Unione Europea sembrava aver capito che la transizione verde è fondamentale e si parlava di un green deal da 1000 miliardi di euro. Forse ora non se ne farà di nulla e il mio timore è che questa nuova idea di economia verde venga abbandonata con la scusa che dobbiamo far crescere l’economia tradizionale perché i Pil dei vari Stati sono in calo. Questo è il problema: l’economia deve sì ripartire, ma è inutile far ripartire un’economia come quella che ha dominato finora, con il rischio che tra cinque anni ricrolli.

Quali soluzioni ci suggeriscono le piante? Se potessero parlare cosa direbbero?

Me lo sono chiesto anche io, ma qualcosa già ci insegnano. Ad esempio, stando chiusi in casa con il lockdown (distanziamento sociale e chiusura di molte attività, ndr), abbiamo provato un tipo di vita vegetale, non potendoci più spostare da un posto all’altro. La prima cosa che capita stando fermi è che si impara a conoscere meglio l’ambiente che ci circonda, ad esempio abbiamo adesso un’idea più chiara e dettagliata dei bisogni delle nostre case. Così fanno le piante, che hanno una capacità di percezione e di senso dell’habitat estremamente forte e lo sfruttano per vivere al meglio. Inoltre, stiamo molto più attenti alle risorse e attuiamo strategie per conservarle e usarle in maniera più adeguata. Ho il sospetto che lo spreco alimentare in questi giorni sia crollato, perché facciamo più attenzione. Non potendoci muovere e attingere qua e là, stiamo più attenti a quello che abbiamo. E le piante fanno esattamente questo, hanno un’idea esatta delle risorse che posseggono e agiscono in funzione di queste.

Quali altri cambiamenti in stile vegetale abbiamo visto?

Ci è accaduto di comunicare di più, con qualsiasi sistema, perché non possiamo muoverci. Così fanno le piante, che comunicano di più di quel che facciamo noi, si scambiano cioè informazioni attraverso impulsi chimici. Abbiamo visto aumentare anche il senso della comunità, e proprio sulla comunità locale, fisica e geografica, le piante hanno costruito il loro enorme successo e per questo sono enormemente resistenti. Il mondo vegetale costruisce comunità, non perché le piante sono buone o sante, ma perché è conveniente. Recentemente in Nuova Zelanda, lo racconto anche nel mio nuovo libro che uscirà dopo l’estate, dei ricercatori, mentre passeggiavano nel bosco, si sono imbattuti in un ceppo enorme di eucalipto, che invece di morire ha continuato a vivere e a ingrandirsi per 50 anni. Come ha fatto senza le foglie? Gli studiosi hanno scoperto che erano le altre piante a mantenere l’albero in vita da oltre 50 anni.

Lei è ottimista o pessimista?

Avete presente quei film di fantascienza con gli alieni che hanno esaurito le risorse del proprio pianeta e vanno da un pianeta all’altro, distruggendo tutto quello che trovano? Questo è quello che stiamo facendo noi umani con il consumo indiscriminato dell’ambiente. Nonostante tutto, sono ottimista, perché non riesco a immaginare di far parte di una specie così stupida da estinguersi in un tempo tanto ridotto per la sua incomprensione delle regole base di come funziona la vita.

L’articolo è un estratto della videointervista realizzata a Stefano Mancuso, Direttore del Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale, da Scuola Coop nell’ambito dell’iniziativa “Parole a distanza”.

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