Pane e carne: un tempo i bisogni erano alimentari, oggi quali sono le nuove necessità? E come cambia la cooperazione di consumo restando fedele al suo mandato?
«La questione principale è mettere a fuoco come la cooperazione risponda ai bisogni urgenti della comunità e dei gruppi sociali più marginali – spiega Gianluca Salvatori, segretario generale di Euricse, acronimo di European Research Institute on Cooperative and Social Enterprises -. All’inizio il problema riguardava l’accesso ai beni primari di consumo e attorno a questa esigenza si è costruito un modello diverso di economia. Oggi l’accesso ai beni alimentari è in qualche forma garantito, anche se la questione dei prezzi resiste e la vera necessità riguarda più i beni relazionali. Per me le cooperative devono avere i piedi per terra e le orecchie pronte all’ascolto della persona».
Andiamo nel concreto, pane e carne a cosa corrispondono oggi?
I nuovi bisogni riguardano ad esempio la cura della persona, l’attenzione al benessere e alla salute. Non parlo solo di cure mediche, ma di una cura complessiva. In Giappone dalla cooperazione di consumo è nata una struttura di cooperazione della salute. Questo significa che si può applicare un modello economico che include e che opera sugli stili di vita e sulla prevenzione, promuovendo consumi alimentari più sani, qualità e sicurezza e coinvolgimento delle persone.
Qual è il valore aggiunto della cooperativa di consumo?
Il mondo della distribuzione sta attraversando cambiamenti epocali, pensiamo al commercio elettronico. Ma il valore aggiunto della cooperativa di consumo rispetto all’e-commerce sta nel momento di relazione che si crea all’atto dello scambio: dal rapporto fisico che si stabilisce in un punto vendita si sviluppa una relazione di ascolto, rispetto alla quale la cooperazione di consumo può organizzarsi per dare una risposta adeguata. Il ruolo delle cooperative, a mio avviso, deve essere quello di stimolare il socio a esprimere sempre più i propri bisogni. Questa linea diretta è l’elemento più prezioso del rapporto cooperativo e va incoraggiato: è un seme che va coltivato.
Quali altre attività vede nel futuro della cooperazione di consumo?
L’istruzione e la cultura più in generale. Nel passato alle cooperative di consumo veniva chiesto di essere nel mercato quasi esclusivamente per calmierare i prezzi. Oggi a questa funzione, ancora fondamentale per garantire alla maggior fetta possibile della popolazione di mettere in tavola cibo sano e buono, si unisce quella di leggere le nuove necessità. Per esempio, con le cooperative di comunità dove intorno al negozio si sviluppano una serie di attività vitali. Così lo storico emporio non è più solo il luogo dello smercio dei prodotti, ma diviene luogo di aggregazione, dove ci possono essere corsi di digitalizzazione per imparare a parlare con i nipoti via skype o dove vengono distribuite la posta o le medicine.
Bibliocoop, comunità di lettori nate dalle sezioni soci, sono un ottimo esempio.
Le chiusure festive e domenicali e l’eliminazione della plastica monouso a quali bisogni rispondono?
Trovare un negozio chiuso la domenica pomeriggio fa capire al socio che la cooperativa non si preoccupa di vendere il più possibile ma di portare avanti uno scambio cooperativo, dove mettere dei limiti è più importante del profitto, dove si lavora insieme alla ricerca di soluzioni e modelli. Succede la stessa cosa quando si parla di prodotti salubri e sicuri, che la cooperativa sceglie e controlla mettendo al centro la questione della qualità.
Anche l’eliminazione della plastica monouso è stata una scelta onerosa per Unicoop Firenze, ma ha chiarito la posizione della cooperativa, stimolato comportamenti virtuosi fra soci e clienti e ispirato scelte similari da parte di altri operatori della Grande distribuzione organizzata. Quando ci sono valori in gioco, la cooperazione non può restare neutrale.