Semplicemente Carlo
Conosco Carlo da vent’anni. Abbiamo lavorato insieme alla realizzazione di un festival nella città toscana che sente più sua, Siena. Da allora, non passa settimana senza che ci sentiamo per qualche motivo. Per questa intervista lo incontro in una masseria pugliese nei dintorni di Otranto. Ha appena finito di girare una scena del nuovo film, Si vive una volta sola. È l’occasione di fargli qualche domanda sul film ma anche su temi d’attualità. Sulla scuola, per esempio.
Carlo, che tipo di studente eri?
Non è stato tutto rose e fiori, il mio rapporto con la scuola. Ero portato per le materie letterarie, ma non per quelle scientifiche: me la cavavo con l’italiano, ma ero una grande pippa in matematica. Ed ero anche piuttosto indisciplinato. Tant’è che alle scuole medie fui bocciato.
Eri uno di quei ragazzi scatenati, ribelli?
No. Ero piuttosto un sognatore. Non facevo risse o caciare, ma avevo un certo talento per la risata. Imitavo i professori, facendo divertire i miei compagni e anche i prof. Così facevo perdere a tutti un sacco di tempo di studio. Il preside non mi vedeva di buon occhio, tanto che disse ai miei genitori: «Non fategli fare il liceo classico».
Tuo padre Mario, grande docente universitario di Storia del cinema, come la prese?
Malissimo. Malissimo. Lui, che poi mi avrebbe avuto come studente all’università, e che sarebbe stato severissimo anche in quel caso. Lui e mia madre hanno sofferto molto per le mie difficoltà scolastiche.
Poi ci fu una svolta?
Sì: a partire dalla seconda liceo, cioè il penultimo anno del classico. Dopo aver preso quattro materie a settembre, ho sentito mio padre e mia madre veramente imbufaliti. Allora mi sono dato una regolata, e sono “diventato” bravo. L’università poi l’ho fatta bene. Tranne per quell’esame di Storia del cinema con mio padre…
Fosti esaminato da tuo padre?
Sì: e fui bocciato! La sera prima, a cena, gli dissi: «Papà, non voglio aiuti domani, però chiedimi Fellini o Rossellini, che li ho studiati tanto». E lui, la mattina dopo, serissimo, impassibile, mi chiede: «Verdone – e tutti gli altri studenti a chiedersi: ma è un omonimo? Un parente? -, mi parli di Georg Wilhelm Pabst!». Io sbiancai, lo sentivo come un tradimento, non ero preparato su quell’autore. Balbettai qualcosa e mio padre: «Si ripresenti quando sarà più preparato». E via, a posto. La sera, a tavola, mi disse: «Carlo, con te dovevo mostrarmi più severo e inflessibile che con tutti». E fu così che ripetei l’esame di cinema.
Le prove Invalsi e gli errori agli esami di maturità mostrano che un terzo degli studenti ha problemi con la comprensione dell’italiano. Che ne pensi?
Che siamo in un’epoca molto delicata, difficile, proprio per quello che riguarda la lingua italiana. I ragazzi scrivono l’italiano come se stessero sempre su whatsapp, pensano e scrivono “xké” o “gg” per dire oggi, “xò” invece di però, “nn” per dire non, o “cm va” per dire “come va?”. La rivoluzione delle app e dei social ha portato questi ragazzi a essere completamente distaccati dalla vera lingua italiana e dalle espressioni più belle, più ricche.
Che tipo di generazione ti aspetti, nel futuro?
Mi aspetto, ahimè, una generazione ignorante. Del resto, chi sta al governo oggi mostra di avere più di un problema con l’italiano.
Nello spettacolo, si registra un nuovo fenomeno: gli youtuber, che stanno diventando i nuovi comici, i nuovi divi. Che ne pensi?
Penso che ne spuntano fuori dieci al giorno: qualcuno è geniale, ma dopo tre giorni viene seppellito da un altro che arriva. È un grande caos, dove c’è chi fa un milione di visualizzazioni e poi viene dimenticato poco tempo dopo. Io ho una pagina Facebook nella quale scrivo quello che penso, o dove condivido alcune fotografie, brevi video. Ma non vivo lì dentro, e non vivo per i like. Fra gli youtuber, penso che prima o poi arriverà qualcuno di grande talento che durerà: ma per ora mi sembra una grande ebollizione, senza che nessuno emerga davvero.
Voltiamo pagina, tu ami alla follia la Roma, che ha da anni un presidente italoamericano, proprio come ora la Fiorentina. Come vedi l’arrivo di proprietari stranieri nel nostro calcio?
Dipende sempre dai singoli casi, e il nuovo presidente della Fiorentina non lo conosco abbastanza. In generale, però, io vedo una grande decadenza del calcio in Italia. Tanti miei amici non seguono più il campionato italiano: guardano una partita di serie A, poi saltano sulla Premier League (campionato inglese), a vedere un campionato dove si fa spettacolo davvero. Noi non abbiamo più campioni, rimane solo Cristiano Ronaldo, che però ha trentaquattro anni. Intorno a lui c’è il vuoto.
Di che cosa parla Si vive una volta sola, che sarà nei cinema a febbraio?
È la storia di un gruppo di medici, un chirurgo stimatissimo e la sua équipe, formata da Max Tortora, Rocco Papaleo e dalla strumentista Anna Foglietta. I quattro sono legati da una grande amicizia, ma anche dalla passione per gli scherzi: e questo darà origine a episodi che vi sorprenderanno. Ma sarà anche un film sentimentale, su sentimenti forti come quello dell’amicizia.
Inevitabile pensare ad Amici miei di Mario Monicelli. Ci hai pensato, scrivendo questo film?
Sì e no: direi che ci sono più elementi di similitudine con il mio Compagni di scuola, o forse con Il grande freddo. Ma certo, Amici miei è nel Dna di tutti quelli che amano il cinema. E io stesso ho lavorato a lungo con Piero De Bernardi, lo sceneggiatore che insieme a Monicelli e a Leo Benvenuti ha scritto quel film meraviglioso.