La torta parmigiana, i ravioli, i tortelletti nel brodo di cappone, il cappone ripieno, sono tutte ricette che arrivano da lontano nel tempo. Come il biancomangiare e la gelatina di pesce, la mandorlata, i fichi ripieni, piatti ricchi e opulenti, in dosi per dodici o addirittura ventiquattro commensali, elaborati e carichi di sapori importanti e ricercati, preparati per una tavola che sa di festa e di abbondanza: sono le cinquantasette ricette del più antico ricettario di cucina in volgare fiorentino, scritto a mano e datato intorno agli anni Venti del Trecento.
Natale tutti i giorni
Anonimo e senza titolo, è noto fra gli studiosi come Ricettario Riccardiano perché si trova in un codice conservato alla Biblioteca Riccardiana di Firenze, con il numero 1071. Simone Pregnolato, docente dell’Università Cattolica di Milano, ne ha pubblicato di recente una nuova edizione critica, nell’ambito del progetto “AtLiTeG” (Atlante della lingua e dei testi della cultura gastronomica italiana dall’età medievale all’Unità): «Sono ricette importanti – spiega lo studioso – per ingredienti e preparazioni come quelle del nostro cibo per le feste perché, in fondo, per i ricchi del tempo era Natale tutti i giorni: c’è abbondanza di carne di ogni tipo, pollo, salsicce, castrone, cioè agnello castrato, lardo e moltissime spezie, frutta e zucchero con ricette agrodolci secondo la tradizione medievale.
Anche se nel ricettario non esiste la suddivisione fra antipasti, primi e secondi, c’è un’ampia varietà di minestre, brodi, passati ricchi e paste ripiene. Molto presente anche il pesce: anguille, calcinelli, ovvero le arselle, ma chi scrive fa riferimento anche ai pesci d’Arno, come luccio, sardelle, lampreda, un dato che, insieme alla lingua utilizzata, ci conferma l’impronta tipicamente fiorentina del ricettario».
Ghiottonerie per pochi
Il testo è il capostipite di un insieme di ricettari trecenteschi detti “Dei XII ghiotti”, per il fatto che le ricette erano pensate per cene con dodici commensali, che gli studiosi ottocenteschi hanno accostato ai dodici ghiotti della “brigata spendereccia”, citata anche da Dante nel Canto XXIX dell’Inferno: «Dal ricettario – continua Pregnolato – emerge uno spaccato della tradizione culinaria riservata ai ricchi appartenenti all’alta borghesia urbana che amavano spendere tanto per mangiare cibi elaborati, preparati certamente da un cuoco che, possiamo presumere, sia anche l’autore delle ricette, scritte come oggi, usando la seconda persona singolare, con frasi semplici e istruzioni dettagliate: “Se vuoi fare la torta parmigiana…”.
Insomma, un vero e proprio ricettario, pensato per un uso pratico, scritto con una grafia non elegante, di tradizione corsiva di base notarile, con tanti termini ancora oggi in uso, come ad esempio fegatelli, migliaccio, frittelle. Notevole anche la presenza di nomi regionali e di parole prese in prestito dal francese, come burro, brodetto o pevere (pepe)».
Un ingrediente, il pepe, che fa capolino a Natale anche in un altro documento del tempo, conservato invece alla Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, come spiega Pregnolato: «Del panpepato, tipica specialità natalizia, c’è traccia nel registro delle spese per la mensa e la vita giornaliera dei Priori fiorentini redatto ogni giorno a mano, per un anno, fra il 1344 e il 1345: proprio alla data del 25 dicembre, troviamo la lista degli ingredienti per il panpepato, a siglare la festa con un dolce simbolico e, ancora oggi, intramontabile».