Un intervento delicato su una bambina di nemmeno un anno nel momento più difficile per il mondo della sanità, quello della pandemia da Coronavirus. Ma neanche la positività al virus della piccola ha fermato l’équipe di medici dell’ospedale pediatrico Meyer di Firenze che nei giorni scorsi hanno operato la bambina di 11 mesi – ne aveva solo nove quando è stata scoperta la massa tumorale ai reni – che ora si trova a casa con i genitori e sta bene.
“L’intervento programmato era relativo all’asportazione di una voluminosa massa renale scoperta per caso, indagando a seguito di lievi sintomi presentati dalla bambina a inizio marzo – racconta il professor Lorenzo Masieri, responsabile dell’Unità di Urologia pediatrica del Meyer e professore associato di Urologia dell’Università degli Studi di Firenze – ma durante il ricovero per le cure chemioterapiche, a cui sottoponiamo tutti i casi di tumori infantili per ridurre la dimensione della massa da rimuovere, la piccola, sebbene asintomatica, è risultata positiva al Coronavirus, quindi fortemente contagiosa. Questo non ha ritardato l’intervento, che, come previsto, è stato fatto negli scorsi giorni, con grande attenzione alla sicurezza di tutti, lavorando con i dispositivi di protezione che l’azienda ci ha messo a disposizione per preservare il bene della paziente ed anche la nostra salute”.
Quale è stata la difficoltà maggiore dell’intervento?
“In questo caso abbiamo operato in un clima quasi surreale, con le tute, i caschi e tutte le protezioni necessarie, che fanno molto caldo e rendono più scomodo muoverci in sala operatoria, ma fortunatamente la positività della piccola non comportava nessuna complicanza per l’intervento”.
Avete avuto paura del contagio?
“No, direi che la sensazione di paura del contagio non c’era, né per me, né per i colleghi, sia perché sapevamo di essere ben protetti, grazie ai dispositivi e alla formazione che ha fornito l’ospedale, sia perché quando sei in sala operatoria con una piccola paziente oncologica il sentimento prevalente è quello di riuscire a fare il suo bene. Come medici facciamo ognuno una parte della cura e la paura per noi non c’è quando si tratta di salvare la vita di una persona”.
Il livello di attenzione è stato comunque molto alto per tutte le due ore di intervento?
“Ovviamente abbiamo preso tutte le precauzioni necessarie. Il Meyer fin dall’inizio dell’emergenza ha predisposto un percorso molto articolato, con una parte importante di formazione, ad esempio sulle modalità corrette per vestirci e svestirci dopo essere stati in contatto con un paziente positivo. Del resto, se i medici non restano in salute, poi chi si prende cura dei malati?”.
La tipologia di intervento sulla piccola di 11 mesi positiva al Covid19 conferma il Meyer come eccellenza internazionale?
“Per queste patologie, il Meyer è già una eccellenza. Riguardo la positività al virus, il Coronavirus ha ovviamente rivoluzionato anche il funzionamento delle strutture sanitarie. In questo caso, semplicemente abbiamo valutato che non potevamo aspettare, ma dovevamo rispettare, Covid o non Covid, la tempistica che ci consentiva di raggiungere il risultato migliore per la bambina, combinando gli effetti delle cure chemioterapiche e l’intervento di rimozione della massa”.
Risultato raggiunto?
“Fortunatamente sì, l’intervento è andato bene”.
L’équipe multidisciplinare che ha preso in carico la bambina era formata dagli specialisti di Oncoematologia del pediatrico fiorentino, coadiuvati da infettivologi e pediatri, che hanno operato negli spazi che il Meyer ha dedicato ai pazienti Covid positivi. Per la buona riuscita dell’impresa si è rivelata preziosa l’esperienza che il professor Masieri ha maturato anche nell’ambito del Centro interaziendale costituito da un accordo tra Meyer, Università di Firenze e Careggi, oltre al grande lavoro che la direzione del Meyer ha portato avanti in questi mesi di Covid19 sul fronte della formazione degli operatori e della predisposizione di idonei percorsi chirurgici a tutela di pazienti e personale. Al 22 aprile erano quindici i bambini contagiati dal Coronavirus curati dall’ospedale pediatrico fiorentino. I piccoli pazienti erano arrivati al Meyer dal pronto soccorso o da altri ospedali, grazie ai protocolli di centralizzazione condivisi con la rete pediatrica, ed avevano in media un anno di età.