A tu per tu con Virginia Raffaele

L'artista si racconta dopo i successi a teatro di "Samusà" e del film "Un mondo a parte" di Riccardo Milani con Antonio Albanese

Splendida protagonista, insieme ad Antonio Albanese, del film Un mondo a parte di Riccardo Milani, uscito lo scorso mese, Virginia Raffaele aveva da poco fatto scintillare tutti i suoi colori in televisione, con lo show Colpo di luna, raccontando emozioni sullo sfondo del suo mondo di ispirazione, quello del Luna Park, dove è cresciuta e che rimane nel suo Dna. 

A teatro ha raccolto anni di grandi successi con Samusà – una parola che nel gergo dei giostrai signfica “silenzio” -. Gli spettacoli, sold out in tutta Italia, le hanno garantito la vittoria del premio intitolato a una regina del teatro, Eleonora Duse. «Ma fra poco torno a Firenze, a teatro! Mi raccomando, eh! Non mi abbandonate!» ci dice, al termine della conversazione che abbiamo con lei, al cinema Principe di Firenze. 

Ha molta sensibilità, molta delicatezza, Virginia Raffaele. Si vede subito, al di là delle maschere. Si vede anche nel personaggio che interpreta in Un mondo a parte: una vicepreside in un paesino dell’Abruzzo montano, che si intenerisce per i suoi bambini a scuola, e anche per un maestro spaesato e disarmante come Antonio Albanese.

Che tipo di esperienza è stata girare sui monti dell’Abruzzo?
Stupenda. Ci siamo trovati in questa comunità, in Abruzzo, a convivere con “non attori”, perché Riccardo Milani ha girato con tutte persone del posto: gli unici attori siamo Antonio Albanese e io. È stata un’esperienza umana meravigliosa.

Come era, lei, da bambina?
Sono cresciuta con in casa una nonna clown e cavallerizza che faceva il circo, come potevo crescere? Passavo i pomeriggi con lei che faceva degli spettacoli straordinari, anche se l’unico pubblico ero io! Mi è venuta dentro questa voglia di fare la buffona, di far ridere gli altri. Era il mio modo di comunicare.

Non le era facile comunicare?
Da adolescente ero una nerd, con gli occhiali, l’apparecchio e le gambe troppo lunghe. Mi sentivo diversa, fuori luogo. E allora cercavo di tirare fuori il mio talento: essere simpatica. Era il mio modo di farmi accettare. Solo così trovavo un senso a me stessa. Ero timidissima, non andavo alle feste, mi vergognavo anche a entrare in un bar per prendere un caffè!

Adesso si è accettata?
Non mi sono mai accettata definitivamente, no. Mi sento sempre fuori luogo, con la maglietta sbagliata, la borsa sbagliata. Per questo, nel lavoro, studio e provo fino allo sfinimento.

I suoi familiari non la esaltavano per il suo talento?
Mi hanno sempre tenuta con i piedi per terra, mi hanno sempre detto: questo va bene, quest’altro un po’ meno. E di questo, gliene sono grata.

La simpatia può anche spaventare?
Sugli uomini ha un effetto spiazzante. Può aiutare a entrare subito in comunicazione, o può spaventare.

Che cosa è per lei la comicità?
È quasi una vocazione. È una cosa che fa stare bene gli altri. E io mi sento bene quando faccio stare bene gli altri.

Le è capitato di entrare in amicizia con le persone che ha imitato? 
Mi è capitato di incontrarle, di sentire che c’era una simpatia. E, naturalmente, non uso mai i rapporti personali per costruire le imitazioni. Se vado a cena con Ornella Vanoni o con Sabrina Ferilli, a cena sono solo Virginia, tutto quello che ci diciamo rimane lì.

Quanto veloce è passato il tempo, da quando era bambina al Luna Park?
A me sembra sempre di essere agli inizi. Come la prima volta che feci un provino, presi il treno, andai a Milano. E al ritorno vedevo la mia immagine riflessa nel finestrino e mi chiedevo: chissà se mi ricorderò questo momento. Me lo ricordo benissimo. E ogni sera penso: ma quindi, succede davvero? Ero al Luna Park e ora sono sul palco, a fare uno spettacolo, davanti a tanta gente? Mi stupisco ancora, per fortuna.

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