Fiorentino, cinquant’anni, un volto lunare, bellissimo e drammatico, alla Buster Keaton. E un successo costruito pezzetto dopo pezzetto, con umiltà e pazienza. Fino al Nastro d’Argento come miglior attore in un film commedia, ricevuto a Taormina lo scorso 12 luglio.
Maurizio Lombardi ha un talento immenso, che lo porta ad affrontare con disinvoltura ruoli diversi. È l’ispettore di polizia Piero Ravini nella serie Netflix Ripley, enorme successo internazionale. Lì interpreta un poliziotto poco “italiano”, senza tutti quegli ammiccamenti, quella cialtroneria simpatica dei personaggi italiani nei film internazionali.
Ma Lombardi è anche il padre brusco di Gianna Nannini in Sei nell’anima, il film Netflix sulla vita della rockstar. Ed è l’amante di Sergio Castellitto in Romeo è Giulietta di Giovanni Veronesi. Il film che gli ha portato il Nastro d’Argento come miglior attore in un film commedia.
Maurizio, che effetto fa?
È il mio primo premio ufficiale, in tutta la mia carriera. E arriva a cinquant’anni. Mi dico che arriva alla fine del primo tempo, e va bene così. C’è voluta pazienza, e credo di averla coltivata, la pazienza.
Il suo ispettore nella serie Ripley è diverso da tutti gli altri personaggi “italiani” nei film internazionali.
Sì, forse sì: a me non piacciono gli ammiccamenti, per cui gli italiani sono un po’ furbi, un po’ cialtroni, ma tanto simpatici. Preferisco uno stile più anglosassone nella recitazione.
Anche in Romeo è Giulietta di Giovanni Veronesi interpreta un omosessuale molto trattenuto.
È stato Giovanni Veronesi a dirmi: «Guarda che il tuo personaggio custodisce un amore fragile, dolcissimo». E mi ha dato la chiave per interpretarlo. Poi, nell’interazione con Sergio Castellitto, è venuto fuori tutto il resto. Sergio inventa continuamente sul set, e la tua bravura deve essere quella di seguirlo, di assecondarlo, di proseguire le sue invenzioni.
In Sei nell’anima di Cinzia TH Torrini ancora un altro ruolo. Il padre di Gianna Nannini, che non asseconda la vocazione artistica della figlia.
Anche lì ho cercato di non fare un’imitazione del vernacolo senese, o una macchietta. Ho cercato di caratterizzare un padre concreto, che ha con la figlia un rapporto difficile, ma fatto anche di amore.
Quali sono, se ne ha, i suoi modelli, i suoi punti di riferimento?
Molti sono toscani: la dolce malinconia di Francesco Nuti, e la follia di Roberto Benigni. Uno che si è permesso di venire da un paesino di mille abitanti e fare il pazzo a Los Angeles, alla notte degli Oscar, è un genio. Uno che ha insieme il talento e l’incoscienza. E poi uno che ha genio, talento, incoscienza e sregolatezza, ma anche tanta anima: Massimo Ceccherini.
Con che cosa si tiene in forma? Pratica sport?
Ho praticato tanto pugilato. Perché la boxe è la cosa più vicina alla recitazione: i pugili sono artisti che vanno incontro al dolore, il teatro è come un ring teatrale, come un grande evento pugilistico. E tu, su quel ring, devi versare lacrime e sangue, per appassionare il pubblico.
Che cosa sta preparando adesso?
Porterò in giro il mio spettacolo Ho visto cose, che parla dell’umanità di tutti noi di fronte alle sfide dell’intelligenza artificiale. E poi ho creato la mia casa di produzione, con la quale sto preparando il mio primo cortometraggio da regista, Marcello. Una storia di vita e di cinema, ambientata dentro Cinecittà.
Che cosa è il cinema per lei?
È la salvezza. Direi a tutti i ragazzi: se non sapete che cosa fare della vostra vita, fate cinema. Ma non ci sono soltanto gli attori: ci sono lavori di costumisti, scenografi, fonici, in produzione… il cinema è come la Legione straniera: non importa da dove vieni. Ti accoglie e ti fa entrare in una ciurma, un battello che è la troupe del film.
La città del cuore?
Firenze, naturalmente. Ma visto che il Nastro d’Argento l’ho vinto grazie a un regista pratese, Giovanni Veronesi, da oggi la mia città del cuore è anche Prato!