La protesta dei capelli

Contro la repressione in Iran, la testimonianza di due giovani donne che vivono in Toscana e chiedono di restare anonime per paura di ritorsioni sui familiari rimasti nel Paese islamico

A controllare tutte e tutti c’è l’occhio implacabile della Polizia morale. Anche a distanza, anche a migliaia di chilometri lontano da Teheran, anche a Firenze, a Bologna o a Genova. Per questo le due giovani attiviste che abbiamo incontrato chiedono di restare anonime e ci pregano di indicarle nell’articolo come Sara e Maryam, due nomi piuttosto comuni in Iran, senza dare altre informazioni che ne facilitino l’identificazione, perché questo potrebbe avere gravi conseguenze. 

Ci spiegano che durante le manifestazioni nelle piazze italiane ci sono degli infiltrati che le fotografano e le segnalano alle autorità iraniane, che poi fanno ritorsioni su familiari e parenti rimasti nel Paese.

Mahsa Amini, uccisa per un ciuffo fuori posto

Tutto comincia alla fine di settembre in seguito alla morte della ventiduenne Mahsa Amini, arrestata e uccisa dalla polizia perché non aveva i capelli completamente coperti. Solo grazie a «una coraggiosa giovane giornalista che è riuscita a fotografarla intubata in ospedale e ha diffuso le immagini, abbiamo saputo quello che è successo» racconta Sara. Altrimenti la notizia sarebbe passata sotto silenzio, come forse è accaduto altre volte. Invece, anche grazie alle immagini diffuse sul web di donne che si tagliavano i capelli davanti alle videocamere dei propri smartphone e computer e poi nelle piazze iraniane, le proteste contro il regime fondamentalista islamico si sono replicate ovunque. I morti e feriti per la reazione della polizia iraniana, non le hanno fermate. 

A Shiraz giovani uomini e donne della facoltà di medicina hanno manifestato insieme: «Al grido dei maschi “donne, vita e libertà”, le donne hanno risposto con “uomo, patria, prosperità”. È importante che le donne prendano coscienza dei loro diritti perché sono oppresse, ma non sottomesse» asserisce. Ma, aggiungiamo noi, lo è anche che i giovani maschi iraniani le supportino, visto che insieme rappresentano la maggioranza della popolazione nel Paese.

Diritti repressi

La polizia morale, il cui nome sembra uscito da 1984 di Orwell, infatti, se esercita la sua repressione soprattutto sulle donne che non vestono o non si comportano nel modo comandato dalla legge islamica della Sharia – sono vietati abiti attillati, trucco eccessivo, capelli scoperti, ecc -, «non trascura di punire neppure gli uomini vestiti all’occidentale o con un taglio di capelli considerato stravagante, o ancora giovani, maschi e femmine che ballino insieme o si tengano per la mano per strada. Vengono a controllare i matrimoni e le feste private: per stare tranquilli, bisogna pagare delle mazzette» spiega Maryam.

La comunità iraniana di Firenze è numerosa e molto ben integrata, ci sono persone arrivate negli anni Settanta e Ottanta a seguito della rivoluzione islamica guidata da Komehini , avvenuta nel 1979, e altri emigrati in tempi più recenti per studiare o per lavorare in Toscana. Molti sono professionisti, altri sono attivi nel commercio e nella ristorazione: «Vogliamo che tutti sappiano quello che succede in Iran e che le istituzioni internazionali si attivino per ristabilire i diritti delle persone, che ultimamente sono stati ulteriormente repressi perché al potere c’è un presidente ultraconservatore». Ebrahim Raisi è stato eletto presidente nel 202, ma non si può dire democraticamente, come lo intendiamo in Occidente: «I candidati sono scelti dal Gran consiglio dei Guardiani, che fa capo all’autorità religiosa dell’Ayatollah Ali Khamenei. Agli iraniani non resta altro che l’astensione: alle ultime elezioni ha superato il 50%, ma questo ha un prezzo perché chi non ha votato viene discriminato sul lavoro o non può iscriversi all’Università». Quando il coraggio di esprimere le proprie idee deve fare i conti con la sopravvivenza, diventa tutto più difficile.

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