A distanza di 400 anni, il castoro è tornato in Italia! Dal 2018 è possibile vederlo in alcune zone del Nord-Est, dove è arrivato spontaneamente dall’Austria. Ma anche nel Centro Italia, forse in seguito alla liberazione non autorizzata in natura di alcuni esemplari, i roditori hanno cominciato a riprodursi e a ripopolare lentamente i corsi di alcuni fiumi. È stato un pescatore il primo a segnalarne la presenza, dopo aver notato strani segni sugli alberi, sono state poi le foto-trappole a rivelare l’identità dei responsabili.
Il monitoraggio della situazione lungo il Tevere, fra Toscana e Umbria, è a cura di un gruppo di giovani studiosi: Giuseppe Mazza, ricercatore del Crea-Dc (Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’Analisi dell’Economia Agraria-Difesa e Certificazione), Emiliano Mori e Andrea Viviano, dell’Istituto di Ricerca sugli Ecosistemi Terrestri del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr-Iret). Si tratta di uno fra i primi studi in tutta l’area del Mediterraneo, prende il nome di “Rivers with Beavers” (alla lettera, “fiumi con castori”) ed è finanziato da un ente inglese.
Tracce inconfondibili
«Al momento abbiamo registrato un impatto positivo sull’ecosistema nella zona di Sansepolcro (Arezzo) dove, dal 2019, sono presenti piccoli gruppi di castori – spiega Viviano -. Un algoritmo basato sulle tracce della loro presenza (come alberi rosicchiati e la presenza di feci) e sul loro raggio di azione consente di ipotizzare il numero di soggetti che, al momento, varia tra i 50 e i 60. Il castoro si nutre di alcune specie vegetali (pioppi e salici) e grazie a questa attività di foraggiamento ne può facilitare la diffusione. La loro è una manutenzione gentile del territorio che favorisce il ritorno di specie vegetali e animali nell’ambiente».
«Non a caso nella letteratura scientifica lo chiamano ingegnere ecosistemico, perché può modificare l’ambiente in cui vive – prosegue Mazza -. Sono roditori semiacquatici. Ne esistono due specie: il castoro americano (Castor canadensis), che vive in Nord America, e il castoro eurasiatico (Castor fiber), che un tempo era molto diffuso sia in Europa che in Asia e che nel nostro Paese era scomparso a causa dell’eccesso di caccia».
I castori del Centro Italia appartengono alla variante euroasiatica e non vanno confusi con le nutrie (Myocastor coypus) che in Italia sono una specie aliena invasiva, che crea quindi un impatto squilibrante sull’ambiente. «Servirebbero ulteriori studi genetici per capire la provenienza degli esemplari di castori che hanno trovato casa lungo il primo tratto del Tevere. Al momento gli umani della zona sembrano gradirne la presenza» chiosano gli studiosi.
Innocui per l’uomo, ma per l’ambiente?
«È bene chiarire che i castori non rappresentano un rischio per l’incolumità umana e potrebbero anche diventare un’attrazione turistica – aggiunge Andrea Monaco, zoologo dell’Ispra (l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) -.
Non va dimenticato però che la sua capacità di trasformazione dell’ambiente può avere effetti sia positivi sia negativi. Con l’attività di scavo può stabilizzare i flussi d’acqua e creare nuove zone umide, con conseguente aumento della biodiversità; tuttavia, può causare problemi alle attività antropiche per la sua capacità di provocare inondazioni e impatti sulle colture arboree e agricole. Per questo motivo è importante monitorare, con studi come quelli in corso, le trasformazioni ambientali che determina.
La ricomparsa naturale del castoro sull’arco alpino è un’ottima notizia e speriamo che da questo piccolo nucleo possa partire la ricolonizzazione del Paese. Decisamente più preoccupante è la presenza in Italia centrale, frutto di immissioni illegali, fatte ignorando non solo le leggi ma anche le buone pratiche della conservazione della natura».