Partono il 25 settembre, alle 17, nell’Ex Politeama di via Francesco Mochi 2, a Montevarchi, le conferenze dedicate al Sommo Poeta con prestigiosi storici dell’arte, fra cui Antonio Natali, direttore della Galleria degli Uffizi tra il 2006 e il 2015, relatore del primo incontro su “Il Dante del Bronzino per la stanza di Bartolomeo Bettini”.
A ottobre:
- il 2, “Il Dante di Signorelli” con Vincenzo Farinella, professore di storia dell’arte moderna all’Università di Pisa;
- il 9, “1465 Imago Facit: il Dante di Domenico Michelino nel Duomo di Firenze”, di Anna Maria Bernacchioni, storica dell’arte e collaboratrice del Dizionario Biografico degli Italiani; – EVENTO ANNULLATO.
- il 16, “Lo viso mostra lo color del core: il mito di Dante nell’arte fra Ottocento e Novecento” con Andrea Baldinotti, storico dell’arte, ha approfondito temi legati all’arte italiana del ‘400 – ‘500 – ‘600.
Prenotazione obbligatoria al 3298077420. Per l’accesso agli incontri è richiesto il Green Pass.
Per introdurre il tema delle conferenza riportiamo di seguito questo articolo su gentile concessione dello storico dell’arte Antonio Natali.
Memorie fiorentine di Dante e della Commedia
(di Antonio Natali)
Sono anni – questi che stiamo vivendo – segnati da una sequenza serrata di centenari eclatanti. Le scadenze centenarie cadono ovviamente di continuo e per solito ci s’ingegna di festeggiarle, anche perché sono diventate occasioni per attingere a fondi straordinari, vista l’esiguità di quelli ordinariamente destinati al patrimonio d’arte e alla cultura (cenerentole italiane). Certo che un corteo incalzante come quello messo in fila da Leonardo (2019) Raffaello (2020) e Dante Alighieri (2021), uno di seguito all’altro, non è cosa che càpiti di frequente. La malignità d’un morbo aggressivo – a mala pena risparmiando il Vinci – ha sacrificato gli accadimenti programmati per celebrare la loro eccellenza.
Per Dante c’è però ancora tempo, giacché le iniziative possono contare su un periodo compreso fra il 25 marzo del 2021 e la stessa data del 2022; giorno che s’è voluto chiamare Dantedì, con un’intuizione lessicale che credo si debba a un intervento medianico del Poeta; il quale, allarmato dal volgare andazzo anglofilo che alligna nel nostro Paese e fortemente temendo il conio d’un Danteday, dev’essere apparso in sogno a qualche italianista influente suggerendogli, prima che fosse troppo tardi, una formula stilnovistica.
A Dante sono state dedicate a Firenze due mostre inusuali. Nella prima – inaugurata l’11 ottobre del 2020 alla Certosa del Galluzzo (luogo d’incanto, meritevole d’una più diffusa conoscenza) – fu esibita, nella grande aula che in quel complesso monastico fa da pinacoteca, una lunetta col ritratto di Dante, dipinta dal Bronzino ai primi anni trenta del Cinquecento per il cólto mercante Bartolomeo Bettini.
La lunetta con Dante fu l’unica opera chiesta in prestito per la mostra, ma n’erano contorno splendido gli affreschi con la Passione, eseguiti da Jacopo nel magnifico Chiostro Grande della Certosa, quando lì s’era ritirato proprio in compagnia del Bronzino, discepolo fedelissimo, per fuggire alla peste del 1523 (a proposito di centenari…).
Ecco, quel soggiorno comune nel cenobio certosino, agli esordi del loro quasi fraterno sodalizio, s’è rinnovato all’ombra del Poeta che fu da tutt’e due amato. La loro fu una relazione che incluse rapporti proficui con molti personaggi illustri della cultura fiorentina, parimenti dantisti appassionati, qual era alla fine lo stesso Bettini, committente del Ritratto di Dante, allogato al Bronzino per una sala della sua dimora che avrebbe visti impegnati con incarichi diversi anche Michelangelo e il Pontormo.
Si legga il rendiconto che Giorgio Vasari dà di quella sala nella ‘vita’ di Jacopo: «Veggendosi adunque quanta stima facesse Michelagnolo del Puntormo e con quanta diligenza esso Puntormo conducesse a perfezzione e ponesse ottimamente in pittura i disegni e’ cartoni di Michelagnolo, fece tanto Bartolomeo Bettini, che il Buonarruoti suo amicissimo gli fece un cartone d’una Venere ignuda con un Cupido che la bacia, per farla fare di pittura al Puntormo e metterla in mezzo a una sua camera, nelle lunette della quale aveva cominciato a fare dipignere dal Bronzino Dante, Petrarca e Boccaccio, con animo di farvi gl’altri poeti che hanno con versi e prose toscane cantato d’amore».
Il tema della poesia d’amore sarebbe stato dunque al centro della decorazione della stanza di Bettini; eppure il libro della Commedia che Dante ostenta nel ritratto allegorico del Bronzino è squadernato alle pagine d’apertura del XXV canto del Paradiso, quello in cui l’Alighieri sogna di tornare a Firenze dopo l’esilio e di farlo con tutti gli onori che spettano a un grande poeta. Dante è quindi effigiato, lui pure, come cantore lirico d’amore, ma insieme anche come uomo ferito nell’animo da un esilio immeritato, cui l’ha condannato una città che lui, a dispetto della pena crudele inflittagli, séguita ad amare.
La seconda impresa fiorentina votata a Dante e alla sua Commedia è tuttora vigente; e lo sarà fino alla chiusura ufficiale del centenario della sua morte.
L’iniziativa verte sul Ritratto di Dante dipinto nel 1465 per il Duomo di Firenze da Domenico di Michelino, pittore del séguito dell’Angelico. L’opera, che è fra le più famose dell’iconografia dantesca, era ambìta da molte mostre ordinate giusto appunto per il centenario, ma il Consiglio dell’Opera di Santa Maria del Fiore non ne ha concesso il prestito. D’altronde lo stesso Consiglio aveva da tempo deciso di celebrare l’Alighieri, mettendo in risalto la tela col suo ritratto, e già aveva programmato di costruire un castello, che consentisse – come difatti oggi è possibile – ai fiorentini e agli ospiti di Firenze quella lettura ravvicinata che l’altezza del monumento da sempre preclude.
La decisione del Consiglio dell’Opera è stata assunta anche per rispettare la risoluzione dei loro antichi predecessori, che nel 1465 avevano fortemente voluto celebrare il secondo centenario della nascita del Poeta incaricando Domenico di Michelino di lasciare nel Duomo una memoria stabile, degna d’un fiorentino tanto illustre. Una decisione – quella dell’odierno Consiglio dell’Opera – che però è stata presa nella convinzione che debbano essere gli uomini a spostarsi e non le opere d’arte, a maggior ragione quando le loro misure sono cospicue.
Domenico s’è figurato Dante ritto sul proscenio, con la sinistra che tiene aperta la Commedia sui versi d’inizio. In una scenografia simbolica, evocatrice dei luoghi delle tre cantiche, il Poeta volge lo sguardo pensoso verso un’epifania lirica di Firenze; che, chiusa entro mura merlate, accavalla le sue architetture, sovrastate dall’imponente cupola brunelleschiana (che ovviamente ancora non c’era ai tempi di Dante). La città sta dirimpetto alla porta dell’inferno, incomparabilmente più grande di quella che s’apre nelle mura fiorentine; quasi che la prima attesti un adito oltremodo facile da varcare e la seconda, viceversa, un arduo rientro per chi ne sia stato cacciato.
È dunque un ritratto allegorico di Dante, al pari di quello del Bronzino. Per il quale vien di manifestare il desiderio che trovi dimora duratura in Palazzo Vecchio, così com’è duratura la collocazione in Duomo di quello di Domenico di Michelino. E, se così vorrà il destino, il Poeta si troverà in effigie presente – quasi fosse una pacificazione finalmente raggiunta – nei due edifici fiorentini pubblici per eccellenza: uno civile, l’altro religioso. Entrambi sacri, tuttavia.