La prima cooperativa di consumo nasce nel 1844 a Rochdale in Gran Bretagna, sub specie paupertatis, (a causa dell’estrema miseria in cui molti erano costretti a vivere, ndr) per permettere ai lavoratori più poveri di procurarsi il cibo a prezzi e qualità giusti. In Italia la prima cooperativa prende vita a Torino dieci anni dopo con lo stesso obiettivo.
A quasi 180 anni di distanza, con le condizioni economiche del mondo occidentale profondamente mutate e con il cibo divenuto accessibile alla grande maggioranza della popolazione, quale ruolo deve assumere la cooperazione per giustificare la sua diversità e continuare a essere mutualistica? Certamente non limitarsi a scendere sul terreno della concorrenza di prezzo con la grande distribuzione di tipo capitalistico. Questo non può bastare. Ridurre la questione al solo aspetto dell’efficienza, rincorrendo i competitor nella corsa a offrire prodotti a prezzi più bassi, vuol dire snaturarsi. È sul piano dell’efficacia infatti che la vera cooperativa vince.
La cooperazione può giustificare la sua diversità, e quindi la sua sopravvivenza, solo se riesce a coinvolgere e a far partecipare attivamente, cioè in modo non formale, i suoi soci e i suoi clienti.
L’ingaggio funziona se tutti si sentono partecipi di un’idea e vengono coinvolti nella sua realizzazione, se diventano autori di qualcosa, per la quale sono il motore.
Se il mio voto in assemblea vale davvero, allora mi candido a un’elezione, mi metto in gioco, partecipo. Se invece il mio voto è solo un atto pro forma e non contribuisce a far cambiare le cose, perché dovrei dedicare parte del mio tempo a qualcosa che non ha conseguenze?
Solo se la cooperazione di consumo sarà capace di far passare questo messaggio e non incapperà in quella che si definisce una contraddizione pragmatica – dove l’operato contraddice il messaggio, portando con il tempo alla sfiducia -, potrà progredire e contribuire a civilizzare l’economia di mercato.
I modi per farlo sono molteplici: formando le persone e dando gli strumenti per sfuggire all’iper-consumismo – vera e propria malattia della post-modernità -, promuovendo stili di vita più sani per la prevenzione delle patologie da surplus alinentare, che dilagano nel mondo occidentale e non solo, combattendo per battaglie importanti come quelle per l’ambiente e contro lo spreco.
Si tratta di un’operazione culturale che deve mettere in pratica i principi e i valori che stanno alla base dell’approccio cooperativo, dove democrazia significa partecipazione reale, dove libertà indica la libertà di poter scegliere, ed equità implica la riduzione delle aree di esclusione, oggi in crescente aumento.