Fondatore del Gruppo Abele e dell’Associazione Libera Don Luigi Ciotti è l’uomo simbolo della lotta alle tossicodipendenze prima e alle mafie poi. Una vita spesa all’insegna della solidarietà intesa come «prossimità, come il percepire gli altri non solo fuori, ma anche dentro di noi. È il primo passo dell’impegno per i diritti e per la giustizia sociale, per eliminare le cause delle ingiustizie e delle discriminazioni».
La solidarietà come impegno civile dunque, ma chi riguarda?
Un impegno che riguarda ciascuno di noi e che come sacerdote ho cercato di assolvere saldando il Cielo e la Terra, la dimensione spirituale e la partecipazione civile, la giustizia del Regno con quella che le persone costruiscono ogni giorno attraverso la ricerca di verità. Se manca di questo respiro a suo modo “politico”, la solidarietà rischia di ridursi a un atto generoso ma sterile, nel peggiore dei casi a un’elemosina rivolta più alle proprie coscienze che alla vita e alla speranza dei poveri e dei fragili.
Dedicare il proprio tempo gratuitamente a una missione dovrebbe essere considerato un dovere civico?
Dovrebbe essere un atto di coscienza e di responsabilità. La responsabilità sta più in alto del dovere perché non è regolata da fuori ma da dentro, non è solo rispetto di una norma ma anche espressione di un’etica. Quanto alla dimensione della gratuità, è l’essenza stessa del servizio. Non sempre però è praticabile e non è un caso che molti volontari siano pensionati che mettono generosamente a disposizione parte del loro tempo.
Ma questo non deve impedire a un Paese di investire fortemente sulle varie forme di servizio civile, che può essere per un giovane – ne ho diretta esperienza – una grande occasione di crescita umana e culturale. Un Paese è forte, solido, prospero, se è capace di trasmettere, attraverso tutte le sue realtà educative, un messaggio semplice ma formidabile: il bene dei singoli dipende da come e quanto i singoli contribuiscono al bene comune.
La solidarietà intesa come difesa della legalità: che attrazione ha nei confronti dei giovani?
Ha una forte attrazione se accompagniamo i giovani a quella solidarietà cui accennavo all’inizio. Perché una cosa deve essere chiara: la solidarietà non deve difendere la legalità ma la giustizia. Ci sono anzi forme di legalità di fronte alle quali la solidarietà deve avere il coraggio di opporsi: certe norme sull’immigrazione e più in generale sulla sicurezza, per restare all’attualità, sono espressioni di potere e non di giustizia, tanto da dover richiedere un vaglio circa la loro fedeltà ai principi della Costituzione.
Legalità è insomma una parola da usare con le pinze, non per il suo valore in astratto ma per ciò che troppo spesso giustifica: potere appunto o persino – esempi non mancano – truffe, abusi, ruberie.
La sua vita è stata spesa per una missione: qual è il bilancio oggi?
Se cerchi di vivere per gli altri – come nei miei limiti ho cercato di fare, da sacerdote e da cittadino – i bilanci personali non sono così importanti. Ciò che conta è che la tua vita sia stata, nel suo piccolo e nelle sue fragilità, uno strumento di bene comune. Ma voglio anche dire che fatico a percepire la vita come un fatto esclusivamente individuale: è il risultato degli incontri, delle amicizie, dei legami. Non avrei fatto nulla senza le tante persone con cui ho condiviso speranze, fatiche, gioie e sofferenze. L’“io” – parola che bisogna maneggiare con cura – è sempre espressione di un “noi”.
C’è qualcosa tra le tante che ha fatto per combattere le mafie di cui si pente?
Tutto quello che ho fatto, l’ho fatto nella piena coscienza dei miei limiti, certo commettendo molti errori, ma sempre in buona fede. Quindi alcune cose le rifarei in maniera diversa ma, onestamente, non trovo nessuna di cui dovermi pentire. Libera è una realtà imperfetta, ma una realtà pulita.
Alcune delle cooperative di Libera continuano a subire attentati: cosa dà la forza di andare avanti? La solidarietà di chi vive in quelle zone si fa sentire?
Si fa sentire quando, e non capita di rado, le cooperative riescono a stabilire legami col territorio, a “integrarsi” guadagnando il rispetto, la fiducia, in certi casi persino l’amicizia e il sostegno della gente. Quanto alle intimidazioni, ai vandalismi, agli attentati, la forza di andare avanti ce la dà anche un rovesciamento di prospettiva: se cercano di metterci i bastoni fra le ruote, è perché siamo sulla buona strada.
Ci vogliono tenacia e nervi saldi – il famoso detto “chi la dura la vince” –, ma soprattutto il sentirsi uniti e parte di una realtà più vasta, le 1600 associazioni che costituiscono Libera, a sua volta parte di un’Italia che non si arrende alla prepotenza mafiosa e alla piaga della corruzione.