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L’educazione alle relazioni

L'opinione di Elisabetta Camussi, Associata di Psicologia Sociale - Università di Milano Bicocca e Presidente Fondazione Ossicini

Elisabetta Camussi è Associata di Psicologia Sociale all’Università di Milano Bicocca e Presidente della Fondazione Ossicini, rappresentante del Comitato Promotore “Diritto a Stare Bene”, una Proposta di Legge di Iniziativa Popolare per l’istituzione del servizio nazionale pubblico di psicologia, anche nelle scuole come servizio obbligatorio e permanente. Ora Coop e Comitato Promotore della Proposta di Legge viaggiano assieme conUna firma che vale una vita, la raccolta firme rivolta a soci e consumatori in 40 punti vendita Coop in tutta Italia, a partire da Firenze.

Con lo scrittore e insegnante Enrico Galiano e la studiosa di statistica Linda Laura Sabbadini, la prof. Camussi è nel Comitato scientifico che ha coordinato la ricerca “La Scuola degli affetti. Indagine sull’educazione alle relazioni”, realizzata dall’Ufficio Studi di Coop con la collaborazione di Nomisma su 2.000 persone tra i 18 e i 64 anni, presentata a marzo 2025.

A cosa serve l’educazione alle relazioni?

L’Italia, come sappiamo, è uno dei pochissimi Paesi europei che non prevede l’educazione alle relazioni come materia scolastica obbligatoria. Eppure la letteratura scientifica ha da tempo mostrato che bambini e bambine apprendono precocemente i ruoli di genere più diffusi nella cultura nella quale crescono, indipendentemente da quanto questi modelli siano stereotipati, anacronistici e non paritari. E proprio a partire da quanto culturalmente appreso iniziano ad immaginarsi come futuri adulti e adulte. Per questo motivo è necessario che l’educazione alle relazioni venga, invece, sistematicamente affrontata da esperti ed esperte, con modalità e contenuti adatti alle diverse età, a partire dalla scuola dell’infanzia fino all’università. E si occupi di tre aspetti fondamentali: le relazioni tra pari, quelle tra partner e le informazioni sessuali, compreso il consenso e la contraccezione.

Con riferimento ai ragazzi e ragazze più grandi, in base alla sua esperienza, come si possono interessare in un contesto come quello della scuola, i giovani adolescenti al tema delle relazioni e dell’educazione affettiva?

Premesso che è ingenuo pensare che non affrontare a scuola l’educazione alle relazioni significhi proteggere ragazze e ragazzi da chissà quali presunti contenuti “inadatti”, va invece ricordato che il vuoto lasciato dalla scuola viene comunque riempito attraverso il ricorso a fonti di conoscenza, non necessariamente qualificate, e facilmente fruibili, quali la moltitudine di possibilità che offre il web. E tra le fonti più immediatamente interessanti per adolescenti maschi e femmine certo non si trovano la famiglia e gli educatori tradizionali, che possono invece svolgere un ruolo importante se è la scuola a farsi carico dell’educazione alle relazioni per tutte e per tutti.

Per quanto riguarda il coinvolgimento delle ragazze e dei ragazzi, è chiaro che indicare come opzionale la frequenza dei percorsi di educazione alle relazioni rischia di favorire l’autoesclusione di chi sta già vivendo delle criticità sul tema a livello individuale, di coppia o famigliare. Per questo rendere l’educazione alle relazioni una materia obbligatoria significa progettare dei percorsi di tipo laboratoriale (senza valutazioni finali), condotti da psicologhe, educatori, formatori, pedagogiste, che partano dall’esperienza dei singoli e dalla loro visione delle relazioni per promuovere la libera espressione di se’ nel riconoscimento della libertà e del valore altrui.

Quanto è importante che l’educazione affettiva coinvolga oltre che ad un percorso a scuola con esperti i ragazzi, anche i genitori/gli adulti di riferimento dei ragazzi?

Come emergeva dalla ricerca “La scuola degli affetti”, condotta da COOP e Nomisma su un campione rappresentativo di adulti, sono in realtà la maggioranza dei genitori e degli insegnanti che, oltre a volere l’educazione alle relazioni come obbligatoria a scuola, chiedono che sia condotta da esperti (in primis psicologhe e psicologi).

Proprio perché temono sia di non essere sufficientemente preparati a supportare da soli gli adolescenti maschi e femmine in un contesto complesso come quello contemporaneo, sia perché preferiscono non interferire nell’educazione alle relazioni, rischiando di suscitare nei giovani ansia e preoccupazione. Si tratta di adulti che riconoscono l’importanza delle competenze specialistiche, e che possono proprio per questo divenire riferimento ulteriore per ragazzi e ragazze, in alleanza con gli esperti.

In che modo l’educazione alle relazioni può aiutare a prevenire e contrastare situazioni di violenza di genere? Ad esempio: ad un/una giovane adolescente lasciato dalla ragazza cosa dobbiamo dire e come possiamo aiutarlo ad elaborare il distacco senza che questo degeneri magari in atti di violenza verso se stesso o il/ la partner?

Come dicevo prima, l’educazione alle relazioni è tanto più efficace quanto più accompagna in modo sistematico ragazze e ragazzi fin dall’infanzia. Perché serve a riconoscere le emozioni proprie e altrui e insegna a chiedere aiuto – essenziali gli Sportelli di ascolto a scuola – quando le esperienze che si attraversano provocano malessere e disagio psicologico. E questo è fondamentale per prevenire o interrompere la violenza di genere. È però altrettanto importante che i percorsi di educazione alle relazioni insegnino a identificare la mancanza di pari opportunità tra uomini e donne, e le forme di discriminazione delle donne ancora presenti nel nostro contesto sociale e culturale. Perché è probabile che questa visione stereotipata dei generi sia stata interiorizzata dagli adolescenti attraverso l’osservazione del comportamento degli adulti nei contesti famigliari così come in quelli pubblici. Ed è solo a partire dal riconoscimento di questa diffusa mancanza di equità tra uomini e donne, spesso vissuta nella quotidianità come “normale”, che grazie alla scuola si produce il cambiamento culturale.

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