Un faro nel buio del mare. Per chi arriva dall’Africa, è una luce di speranza. La Porta d’Europa, opera dell’artista della Transavanguardia Mimmo Paladino, a 12 anni dalla sua inaugurazione, avvenuta il 28 giugno 2008, ha bisogno di un restauro, perché il vento e le intemperie del mare ne stanno corrodendo i materiali. Per consolidare l’opera, ma soprattutto per rinnovare il messaggio di solidarietà e accoglienza che l’ha ispirata, anche alla luce dello sfregio subito agli inizi di giugno, quando di notte è stata ricoperta da sacchi neri per l’immondizia e teli verdi di plastica fermati con del nastro adesivo.
Il restauro è promosso dal medico di Lampedusa ora europarlamentare, Pietro Bartolo, dal Comitato “Rotte della solidarietà”, dal Comitato “3 Ottobre” che si occuperà anche del restauro, dalla Fondazione Casa dello Spirito, associazione Amani e delle Arti e da Unicoop Firenze, che promuove un crowdfunding, una raccolta fondi cioè, fra soci e clienti. Obiettivo 30.000 euro, che serviranno per il restauro della struttura e delle decorazioni e per applicare una protezione che renda la scultura più resistente alle intemperie.
Fino al 20 settembre sarà possibile contribuire, a partire da 1 euro o da cento punti della carta socio, alla cassa dei supermercati Coop.fi o sulla piattaforma Eppela. Unicoop Firenze raddoppierà quanto donato alle casse.
«Ricevetti dalla Fondazione Mondadori un invito a realizzare un monumento dedicato alla tragedia dei naufragi dei migranti. Io pensavo di non essere adatto a fare monumenti, ma era giusto lasciare un segno dove questa gente che fugge mette piede sulla terra» ricorda Mimmo Paladino.
Un’opera che è diventata un simbolo, però…
Non ho voluto creare un simbolo, ma un’opera d’arte che vive, poi diventata simbolicamente valida, con il tempo. L’arte vale se chi la guarda riesce a vederci dei significati che neppure l’artista aveva in mente.
Come è stata realizzata?
È una sorta di faro primitivo. La terracotta è opaca, ma le parti smaltate riflettono la luce, un semplice uscio da attraversare, che può avere molti significati metaforici, ma che è costituito in realtà da due colonne e un architrave.
Perché è stata costruita con materiali poveri che ne hanno favorito il deterioramento?
Ho subito escluso un metallo resistente, quasi eterno, come il bronzo, e ho scelto la terracotta, un materiale ben conosciuto dai migranti, che nelle loro terre di origine sono soliti impastare terra e acqua per fare mattoni con i quali costruiscono le case. Ho sempre usato la terracotta per i miei lavori e l’ho amata. È apparentemente fragile, ma forse a quella latitudine, così vicina al mare, si è consumata prima del previsto.
Che effetto fa sapere che ha già bisogno di un restauro?
Ho suggerito anche di lasciar fare alla natura il suo corso: il mare ha continuato la mia opera di scalfitura e ne è scaturito un lavoro a quattro mani, con il vento. Era quello che volevo: dopo dodici anni la porta è meravigliosa, io non sarei mai riuscito a farla così. Però, è giusto che continui a vivere ancora un po’ e che si intervenga con un restauro.