La vaccinazione contro il Coronavirus è iniziata con lentezza in questo nuovo 2021 e le previsioni più realistiche dicono che ne avremo per tutto l’anno. L’attenzione di tutti è rivolta ora verso le decisioni che l’AIFA, autorità che in Italia approva l’uso dei diversi farmaci, prenderà in merito ai vaccini. Nel frattempo distanziamento sociale, maschere, guanti e igiene sono prescritti e raccomandati, per evitare che il virus si diffonda, replicandosi e mutando verso forme dagli effetti sconosciuti.
Gli studiosi di epidemiologia hanno ricordato le diverse pandemie che si sono succedute in questi ultimi decenni: dalla influenza spagnola, che alla fine della prima guerra mondiale causò oltre 2,5 milioni di morti; alle più recenti come l’Ebola, l’influenza suina, la Sars e l’AIDS.
Recenti studi hanno confermato che almeno il 70% delle epidemie sono zoonosi, cioè si trasmettono dagli animali all’uomo. Tale salto di specie (spillover) di virus, batteri e parassiti è un fenomeno vecchio di millenni. Il nostro sistema immunitario non ci protegge, infatti, di fronte ad agenti patogeni sconosciuti. La nostra vulnerabilità si è accentuata in quanto favorita da alcune abitudini moderne, quali la sempre maggiore diffusioni degli allevamenti e la promiscuità con gli animali, nonché la forte urbanizzazione che, mentre lascia i borghi abbandonati, ci intruppa negli agglomerati urbani.
Nel passato, non conoscendo un nemico che restava invisibile, la difesa era intuitiva e spesso fatalistica: si aspettava che, dopo tanti morti, la “peste” passasse, magari invocando un santo protettore. Tradotto nel nostro linguaggio di oggi, si aspettava l’immunità di gregge.
Ai vaticini, ai riti scaramantici e agli amuleti, nei tempi moderni abbiamo sostituito siero e fiale, siringhe e mascherine. Oggi il vaccino è un’arma insostituibile e invincibile, poche o nulle le controindicazioni, efficacia, questa sì, miracolosa (con la certezza, ovviamente, che può dare la medicina). Una volta occorrevano anni per mettere a punto un vaccino efficace, adesso gli scienziati ci mettono pochi mesi, salvando migliaia di vite umane.
Gli storici e gli stessi scienziati (che non sono Nostradamus), ci dicono che con epidemie o pandemie dobbiamo convivere: magari in un decennio o nell’altro, ma prima o dopo ne arriveranno altre.
Il nostro obiettivo allora si sposta se guardiamo in prospettiva, con lungimiranza: resta centrale la ricerca farmacologica e il vaccino, ma ancora più importante è cercare di eliminare le cause che producono le pandemie.
Dobbiamo perciò “liberarci degli animali”? Dobbiamo rovesciare la favola di Fidelfo, che immagina un’assemblea di animali decisi a dare una lezione all’uomo, per darla noi a loro?
Mi ha colpito una recente scoperta, fatta nel corso del restauro della Cupola di Brunelleschi in Firenze. Come si sa, la cupola è in laterizio, il cui materiale proviene dalle fornaci dell’Impruneta. Conformata la tegola, essa veniva fatta seccare a lungo, all’aperto. Ebbene, i restauratori hanno a sorpresa trovato l’impronta sulle tegole di cani, gatti, volpi, lupi, e di volatili, quali i falchi. Allora uomini e animali sembra che sapessero meglio convivere, traendone reciproco vantaggio.
Questa convivenza non sembra più possibile, un equilibrio si è rotto. Di chi la colpa, se non dell’uomo?
Poche settimane fa lo scrittore David Quammen, parlando alla Normale di Pisa ha detto: “ le più gravi minacce che incombono sulla nostra specie e sulle nostre società sono tre: le pandemie, il riscaldamento climatico e la perdita di biodiversità. «Sono tre fiumi paralleli generati dallo stesso nevaio che si scioglie a causa dell’aumento della popolazione umana e dei consumi».
Ecco perché, in questa prospettiva, sempre più vicina e angosciante, l’importante ruolo riparatore affidato al vaccino da solo non potrà più bastare. Non è in gioco la vita del malato Covid, pur importante. E’ in gioco la presenza stessa del genere umano sulla Terra. Non bastano la medicina da sola, o il progresso scientifico, o la politica, o l’economia. Quest’ultima, che governa alla fine le altre, diventa deleteria e fonte di diseguaglianze quando in essa l’uomo da fine, da persona, si trasforma in mezzo, in consumatore.
A conclusione del recente summit economico di Assisi, voluto da Papa Francesco, il Pontefice ha mandato questo accorato monito: “l’attuale sistema mondiale è insostenibile da diversi punti di vista, e colpisce nostra sorella terra, tanto gravemente maltrattata e spogliata, e insieme i più poveri e gli esclusi. Vanno insieme: tu spogli la terra e ci sono tanti poveri esclusi. Essi sono i primi danneggiati… e anche i primi dimenticati”.
La crescita non può essere illimitata e non mettere in conto i danni che produce. In una ecologia integrale, come quella auspicata dal Papa, il PIL non può più essere l’indice del benessere di una nazione, quando ciò avviene a scapito dell’ambiente e dell’armonia che deve esserci fra umanità, mondo animale e ambiente naturale. Questa a me appare la vera emergenza.
(a cura di Gianpaolo Donzelli, Presidente Fondazione Meyer, Professore Ordinario Scuola di Medicina-Università di Firenze, Membro del Comitato Nazionale per la Bioetica)