Genitori e figli

Le difficoltà di crescere ai tempi del postnarcisismo. ne abbiamo parlato con Matteo Lancini, psicologo-psicoterapeuta, presidente della Fondazione Minotauro

Sii te stesso a modo mio (Raffaello Cortina editore), il titolo del libro di Matteo Lancini, psicologo-psicoterapeuta e presidente della Fondazione Minotauro, la dice lunga sulle contraddizioni che caratterizzano oggi il rapporto fra genitori e figli adolescenti. Se al tempo della famiglia autoritaria, che è stata predominante fino agli anni ‘70 del Novecento, il contrasto aperto era il necessario passaggio per la crescita e la trasformazione del figlio in adulto, oggi al tempo della famiglia post-narcisista le giovani generazioni si trovano a confrontarsi con le tante incoerenze della società e della famiglia stessa.

«La vita dei bambini è organizzata al minuto: sono obbligati a comportarsi come piccoli adulti, a socializzare e a impegnarsi in mille attività, dallo sport, a volte più di uno, alla scuola di lingue, di teatro, di musica…, in una spasmodica ricerca da parte dei genitori del successo apparentemente dei figli, ma in realtà finalizzata al proprio successo – spiega Lancini -, e di una risposta lenitiva alle proprie frustrazioni». Frustrazione che invece si trasferisce sui figli, che la manifestano poi con ansia generalizzata, atti lesionistici e tentativi suicidari, in pericoloso costante aumento nella popolazione adolescente.

«Queste problematiche non sono la conseguenza del fatto che abbiamo messo troppo al centro dell’attenzione bambini e ragazzi, ma sono invece l’espressione di una fragilità adulta senza precedenti e di una società che pensa solo a sentirsi adeguata. Una società che non si identifica con i reali bisogni affettivi, emotivi ed evolutivi delle nuove generazioni, che non possono a loro volta esprimere quei sentimenti che oggi vengono considerati disturbanti: il dolore, la rabbia, la tristezza, mentre i ragazzi non aspettano altro che qualche adulto sia disposto ad ascoltarli nell’espressione del proprio disagio» precisa lo psicologo.

Scuola e internet

Oltre alla famiglia nelle sue varie forme oggi presenti, un ruolo cruciale lo gioca la scuola con modelli di insegnamento adatti alla propria istituzione e alle richieste dei genitori, non ai reali bisogni degli studenti: «I sistemi di valutazione con il voto numerico non servono a realizzare le finalità profonde dell’istituzione scolastica, che sarebbe quella di formare individui capaci di stare serenamente nella società – prosegue Lancini -. A scuola si dovrebbe andare per apprendere e non per portare a casa un voto, alto o basso esso sia. Ci sono alcuni casi di scuole che hanno abolito i voti, a vantaggio di modalità di valutazione più proficue, oppure che favoriscono la collaborazione e il lavoro di gruppo invece della competizione individuale. I risultati sono positivi e dovrebbero diventare esempi da seguire».

Che dire poi dell’iperconnessione di bambini e ragazzi attraverso il web e i social network? «Personalmente non sono favorevole all’uso dei social network, e infatti vorrei che fossero vietati fino agli “ottant’anni” ma, paradossi a parte, non si può dare la responsabilità a questi strumenti, quando sono gli adulti i primi a farne un uso smodato ed eccessivo. Quel che si dovrebbe fare è semmai insegnare ai più giovani a essere consapevoli dei mezzi potentissimi che maneggiano con tanta disinvoltura, spiegando loro le conseguenze che comportano».

Avviso ai genitori

Ripartire dall’alfabetizzazione emotiva: ecco il messaggio che lo psicologo lancia ai genitori: «Bisogna lavorare sulle emozioni che vengono invece rimosse, come la tristezza e il dolore. Non basta spegnere il cellulare durante la cena, se non si va nel profondo. I genitori dovrebbero poter creare una relazione più intima, che permetta di affrontare anche le questioni più spinose e più personali. Bisognerebbe chiedere ai ragazzi come si vedono. Se sperimentano una rabbia. O un dolore. Affrontare, quindi, aspetti emotivi che come genitori dovremmo saper leggere e sostenere. I ragazzi non vedono l’ora di parlare delle loro emozioni con gli adulti, che invece spesso non sono pronti né disponibili».

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