«Non credevo che avrei mai assistito alla mia “verde” età a una tensione politica su scala internazionale così forte come l’attuale, che cambia anche tutti gli schemi dei riferimenti economici. La definizione di “terza guerra mondiale a pezzi” è emblematica. Se le armi hanno sparato in Ucraina, le conseguenze toccano tutto il mondo».
È vero, tutta l’economia globale risente della guerra in Ucraina e il risultato è l’aumento dei prezzi…
La guerra si innesta su un contesto di nascente inflazione: negli Stati Uniti era iniziata addirittura sei-sette mesi prima, ma il mondo politico ed economico tendeva a ridimensionarla o addirittura a negarla. Da molti anni infatti i prezzi non salivano e anche le grandi banche centrali si erano “scordate” del fenomeno dell’inflazione. La guerra, distorcendo gli scambi commerciali tradizionali e modificando le relazioni politiche, ha dato una spinta per farla crescere ancora.
In un mondo globalizzato siamo tutti interconnessi, nel bene e nel male…
I mercati internazionali, ormai globalizzati da almeno due decenni, soffrono fortemente perché mancano le materie prime: scarseggiano il rame, i semi-conduttori, i micro-chips. La domanda c’è, ma l’offerta stenta. Da qui la crescita dell’inflazione. L’Europa in particolare è carente di combustibili e metalli, mentre altri Paesi come la Cina hanno fatto grandi scorte.
Il rincaro del petrolio e la scelta di abbandonare il gas russo hanno fatto tornare in funzione le centrali a carbone: dov’è finito il green deal della Ue?
Sull’energia abbiamo fatto un passo indietro drammatico in Germania, dove tutta l’economia oggi è alimentata dal carbone. Il consumo mondiale di questo combustibile fossile è a livelli mai visti. Addirittura i Verdi tedeschi, che fanno parte della coalizione di governo, accettano di usare il carbone pur di non fermare le fabbriche. Se siamo tornati a investire nelle miniere di carbone, significa che questa situazione durerà: ci vorranno almeno tre anni prima di vedere costruiti impianti per l’energia alternativa, in grado di liberarci dalla dipendenza dal gas russo e dal carbone. Ma, diciamolo chiaramente, è necessario un grande investimento europeo sull’energia pulita: non possiamo pensare di fare la rivoluzione energetica come abbiamo fatto finora, con i pannelli solari importati dalla Cina.
Cosa suggerisce per rendere l’Europa più incisiva?
Sono favorevole all’Europa a più velocità, perché l’accordo fra tutti i Paesi che la compongono non è possibile. Dovremmo procedere come si è fatto con l’Euro, prima eravamo 12 Paesi ad averlo adottato, poi 19, il prossimo anno con la Croazia 20. Toccherebbe alla Francia, che ha il diritto di veto all’Onu e ha la bomba atomica, prendere l’iniziativa, ad essa si accoderebbero sicuramente Spagna, Italia e Germania, che condividono la stessa visione sulla politica europea. A quel punto saremmo una forza capace di decidere e pesare sullo scenario internazionale. Per me è l’unica via realmente percorribile.
Sono anni che in Italia i salari non crescono: come invertire questa tendenza, nel rispetto delle esigenze delle imprese?
L’aumento del costo della vita è arrivato a livelli tali per cui sono necessari aggiustamenti nei salari, ma non si può reintrodurre la scala mobile perché il suo automatismo farebbe crescere ancora di più l’inflazione. Comunque, i salari dovranno essere ritoccati, perché oggi una famiglia monoreddito non campa più. Se abbiamo il costo della vita quasi alla pari di Francia e Germania, ma salari nettamente inferiori, uno dei motivi è che siamo fuori dai grandi investimenti internazionali. Perché Tesla ha investito in Germania e non in Italia, nonostante salari più bassi a fronte di migliore produttività? Per sfiducia nella stabilità politica nostrana, per le complicazioni burocratiche, le incertezze e la lentezza della giustizia.
La sua ricetta per trattenere i giovani talenti in Italia e far tornare quelli fuggiti all’estero in cerca di migliori opportunità di carriera e stipendi più alti?
Bisogna lavorare su ricerca, scuola e attrazione delle imprese, e creare una nuova immagine dell’Italia sul fronte dell’innovazione. Se vogliamo che i giovani restino, dobbiamo fornire loro delle occasioni di crescita.
Vede un terreno fertile per i populismi?
L’epoca dei fenomeni individuali e collettivi che li hanno alimentati, secondo me, è finita. Gli italiani non ci credono più e questo è un fatto positivo. Se qualcuno riuscisse di nuovo a dialogare con le persone, vincerebbe facilmente le elezioni, dando continuità al Paese. I vecchi partiti avevano grandi difetti e sono morti, ma almeno parlavano con la gente. Ora sono spariti anche gli uffici di rappresentanza nei territori. Questo significa assenza di democrazia e ricostruirla è sempre più faticoso, soprattutto in un’epoca nella quale le grandi organizzazioni economiche del web stanno assumendo un ruolo più importante dei governi, ed è inaccettabile che il potere economico sia più forte di quello politico.
Che ruolo possono giocare le imprese cooperative in questo contesto?
Se c’è un dialogo vero, il modello di impresa cooperativa distribuisce il potere e crea una coscienza nel cooperatore, rendendo meno drammatico il divario fra ricchi e poveri, che è un altro dei problemi che stanno mettendo in crisi la democrazia. Il tema, che state affrontando con vigore ma anche con difficoltà, è come gestire questo dialogo nelle cooperative grandi, perché più grande è la cooperativa più il sistema di condivisione delle decisioni diventa difficile. Coop ad esempio opera nella distribuzione, un settore con fortissima competizione e margini molto ristretti, nel quale avere dimensioni concorrenziali è importantissimo, perché incide sugli acquisti, la finanza e le spese generali. Ma al tempo stesso per Coop il rapporto col territorio e i soci, con la sua gente, è fondamentale. Trovare un equilibrio tra questi due obiettivi è la sfida. State facendo un grande sforzo per ampliare la quantità di prodotti con il vostro marchio. Questa è una forma di dialogo, tradotto nel vostro mestiere, che può fondarsi solo sulla fiducia del cliente nella cooperativa. Anche lo “scaffale” politico dovrebbe basarsi sugli stessi presupposti per riconquistare la fiducia delle persone.