«Quando ormai venti anni fa pubblicai L’epoca delle passioni tristi, facevo riferimento a un mondo dove era difficile capire come comportarsi e agire in prospettiva, quando invece le nostre esistenze in precedenza erano sempre state proiettate nel futuro: il futuro che ci si presentava davanti era minaccioso, incomprensibile, imprevedibile. Ecco, quel futuro oggi è qui». E secondo Miguel Benasayag, quel futuro-presente è ancora più incerto e minaccioso di venti anni fa.
Come possiamo orientarci?
In questo orizzonte chiuso – secondo alcuni studi scientifici la maggior parte delle persone non riesce a immaginare progetti che vadano oltre i cinque anni – abbiamo davanti una grande sfida, quella di sviluppare un presente ricco di gioia e solidarietà, dando un senso complessivo alle nostre esistenze.
Vivere il presente è un messaggio proprio delle filosofie orientali.
Sì, ma non solo. È presente nel taoismo, ma anche in tutte le cosmovisioni delle popolazioni amerindie: quasi tutte le culture non moderne avevano la capacità di abitare il tempo presente in maniera non transitoria, ma immanente. La dominazione coloniale ha schiacciato queste visioni, imponendo una cultura incentrata sul futuro anziché sul presente.
E questo oggi genera ansia…
Dobbiamo smettere di vivere per funzionare, come invece ci impone la visione economicista che guarda solo all’utilitarismo. Ma poiché non possiamo vivere a Roma come gli indios dell’Amazzonia o a Parigi come un lama tibetano, dobbiamo cercare altre strade per riuscire a vivere pienamente il presente, ad esempio con la “creazione condivisa”.
Cosa significa?
Vuol dire fare le cose con gli altri, condividere e non sottostare a una valutazione continua al fine di funzionare e produrre. Ai giovani bisogna insegnare non cose utili per un obiettivo economico o di successo, ma prepararli all’imprevedibile, aiutandoli a dare un senso all’esistenza, a cercare le affinità elettive e a recuperare un rapporto sano con l’ambiente. Solo così capiremo che la vita non finisce con noi – la nostra pelle non è un confine o un muro -, ma che siamo intimamente legati agli altri esseri umani e alla natura che ci circonda. E soprattutto non possiamo permetterci di essere pessimisti.
Sembra impossibile non esserlo…
Il pessimismo cinico in cui viviamo è un lusso per le élite; tutti gli altri devono cercare le vie per stare dentro la vita e agire insieme agli altri.