Siamo abituati a considerare Beatrice in maniera molto disinvolta, come una persona che abbiamo conosciuto fin dai banchi di scuola e di cui sappiamo vita morte e miracoli. Non è forse il grande amore di Dante?
Per prima cosa, possiamo chiederci che cosa sappiamo davvero di Beatrice, quali siano le nostre fonti di informazione. Alessandro Barbero, nella sua bella biografia di Dante che in questo momento tutti hanno fra le mani, e che è piaciuta a letterati come Claudio Giunta e a storici come Franco Cardini, fa proprie le notizie che vengono da una fonte primaria che appare molto attendibile, cioè Dante stesso, nel suo prosimetro, la Vita nuova, una specie di romanzo autobiografico fatto di poesia e di prosa. Seguendo la Vita nuova alla lettera, si assume come reale la storia dell’amore precoce a nove anni, i sogni notturni, tutte quelle cose che Dante racconta su di una donna che riusciva a mala pena a incontrare e vedere di lontano. Una storia irta di simboli, di numeri, di significati mistici, di idealizzazioni, fino alla morte di lei e al finale, in cui Dante promette di dire di Beatrice quanto non è stato mai detto di alcuna donna.
Beatrice poi è diventata la Teologia, con un percorso molto complesso di natura simbolica, in cui la religione e l’escatologia si collegano al primo amore, tanto è vero che Dante, incontrando la donna alla fine del Purgatorio, sente ben vivi «i segni de l’antica fiamma» e «d’antico amor la gran potenza». La studiosa Laura Regnicoli, in un’intervista, ha notato che nel XXV canto del Paradiso, mentre Dante sta presso a Beatrice, ruotano o meglio danzano attorno tre apostoli che hanno il medesimo nome dei suoi figli (partoriti da Gemma Donati), Giovanni, Pietro e Iacopo; assente la moglie Gemma, mai nominata. Quanto alla figlia femmina di Dante, Antonia, divenne monaca a Ravenna con il nome, guarda caso, di Beatrice.
Ma come facciamo a sapere che questa Beatrice è Bice figlia di Folco Portinari, sposata a Simone dei Bardi e morta a 24 anni? L’identificazione della simbolica Beatrice in una Bice in carne e ossa viene da Boccaccio, che afferma di aver appreso la notizia da «fededegna persona», un parente di Bice stessa. Dunque, non era identificazione comune e nota, ma rivelazione e magari vanteria di un familiare, a distanza notevole dalla morte di Dante. A questa testimonianza, se ne aggiunge una seconda: uno dei figli di Dante, Pietro, che non aveva fatto cenno all’identità di Beatrice nel suo commento a Dante, attorno al 1340 (aveva sempre sostenuto trattarsi della Teologia), in una nuova stesura di circa 15 anni dopo spiega che Beatrix, pur essendo la Teologia nell’interpretazione allegorica, era anche una vera donna amata da Dante, nata «de domo quorundam civium florentinorum qui dicuntur Portinarii (nata dal casato dei Portinari, ndr)».
Alla fine dell’Ottocento ci fu chi respinse questa identificazione concreta, preferendo insistere sull’aspetto simbolico e mistico del personaggio creato da Dante come motore vitale della propria vicenda poetica e morale, visto che Beatrice è guida alla salvezza. Le polemiche furono forti e videro tra i più ferventi sostenitori della realtà fisica di Beatrice non solo l’arciconsolo della Crusca e professore Isidoro Del Lungo, ma anche le “donne italiane”, in un libro pubblicato nel 1890, intitolato A Beatrice Portinari nel VI centenario della sua morte (Firenze, Le Monnier).
Tra le “donne italiane” coinvolte nella stesura del libro c’era anche la celebre scrittrice di romanzi popolari Carolina Invernizio, che commentava l’amore di Dante con parole che possiamo rileggere oggi: «Dante amò precocemente. Ed era ancora fanciullo quando conobbe Beatrice. Ed in quella bionda angioletta, in quella raggiante visione, tutta luce e leggiadria, in quel sorriso verginale, in quella grazia modesta, vide compendiata tutta la bellezza, tutta la virtù della donna». E, con innegabile acume, viste le discussioni del momento, aggiungeva: «Beatrice Portinari è la donna unica, sublimata su tutte le persone del suo sesso da un amore e da un genio senza eguali. Dante l’ha circondata di un’aureola così splendida e santa da farla apparire una creatura divina, sovrumana, senza distruggere in essa la donna, poiché anzi come tale gli si presentò come il tipo di ogni perfezione».