Si chiama Palazzuolo sul Senio, ma per i suoi abitanti, che parlano in romagnolo, è “Palazôl“. È un borgo del Mugello di poco più di mille abitanti, incastonato tra due crinali dell’Appennino tosco-romagnolo lungo la valle del Senio, ultimo lembo di Toscana prima di scendere nella Romagna amministrativa: ma qui, in realtà, in questo paesino lontano da tutto e a cui s’arriva solo dopo chilometri e chilometri di tornanti, salite sui monti e paesaggi brulli che s’alternano a pascoli verdeggianti e fitti boschi, è già Romagna, per lingua, per cultura, per tradizioni.
Non è certo Romagna piena, dal momento che dalla parlata si intuisce la vicinanza della Toscana, ma di sicuro questa strana terra somiglia più a Rimini che a Firenze, sebbene fin dal Medioevo sia sempre stata legata al capoluogo toscano. Per il semplice fatto che è più vicina.
Ma chi intende raggiungere Palazzuolo ha già abbandonato la Toscana una volta superato il passo della Sambuca: il borgo si trova già sul versante romagnolo dell’Appennino, benché storicamente le vicende di queste prime propaggini della Romagna si siano sempre accompagnate a quelle della Toscana, fin dai tempi più antichi, quando Palazzuolo fu dapprima feudo degli Ubaldini, poi dei Pagani, quindi di nuovo degli Ubaldini, due famiglie originarie di questi luoghi che si contendettero a lungo Palazzuolo e i borghi vicini. Alla fine la spuntarono gli Ubaldini (uno dei loro membri è il famoso Bernardino Ubaldini della Carda che combatté nella battaglia di San Romano e il cui disarcionamento è stato dipinto in uno dei celeberrimi pannelli della Battaglia di San Romano di Paolo Uccello), che però a loro volta, nel 1362, dovettero soccombere alla Repubblica di Firenze. Da allora Palazzuolo è sempre stato il più remoto dei domini fiorentini, dove gli abitanti parlavano una lingua che non aveva niente a che vedere con quella che si parlava a Firenze.
Un borgo tanto remoto, che nella sua storia non successe niente di rilevante: gli unici eventi che si ricordano sono dei passaggi. Come quello di papa Giulio II e di Niccolò Machiavelli, che nel 1506 dormirono una notte nel Palazzo dei Capitani (il capitano era il funzionario che rappresentava il potere fiorentino in zona). O quello di Garibaldi, che sostò a Palazzuolo nella sua fuga dopo la disfatta della Repubblica Romana del 1849. E poi ancora quello di Dino Campana, originario della vicina Marradi, altro borgo della Romagna Toscana, che a Palazzuolo trascorse alcuni giorni d’infuocato amore per la sua Sibilla Aleramo nell’estate del 1916.
E in effetti questo borgo nascosto tra valli e alte montagne ben si presta a transiti, fughe e amori. Ancora oggi c’è garanzia di totale tranquillità: ogni guida apprezza il silenzio dei suoi vicoli acciottolati, delle piazzette che si dispongono nei due borghi divisi dal ponte che attraversa il Senio, il Borgo dell’Ore e il Borgo del Crocifisso. Il fulcro di Palazzuolo è però il Borgo dell’Ore: qui, sulla piazza principale, sorge il trecentesco Palazzo dei Capitani, che non ha niente a che vedere con gli omologhi riccamente ornati delle città di pianura più vicine a Firenze. Qui, il principale edificio cittadino è una semplice costruzione di sasso, che oggi ospita la biblioteca e due musei, ovvero il Museo Archeologico dell’Alto Mugello e il Museo delle Genti di Montagna. Il primo raccoglie i più antichi reperti trovati nel territorio, il secondo invece è un racconto della vita difficile e degli usi secolari della gente di queste terre: un popolo di contadini, artigiani e pastori, il cui mondo perduto è narrato attraverso una collezione di un migliaio di oggetti. Di fronte, nella piazza Garibaldi, una targa affissa su una casa spoglia, anch’essa di sasso, ricorda il luogo dove l’“eroe dei due mondi” sostò per qualche ora il 24 agosto del 1849, in compagnia di due amici, “inseguito da soldatesca straniera”. Le forme rinascimentali comunque arrivarono anche da queste parti: alle case povere ogni tanto s’alterna qualche palazzotto che riprende i modi e le forme dei più grandi e sontuosi edifici che andavano costruendosi in Firenze nel Cinquecento.
Nel borgo del Crocifisso si trova invece la principale chiesa del paese, la pieve di Santo Stefano, di origini antiche ma ampiamente rimaneggiata nel Settecento e poi ancora dopo la seconda guerra mondiale: all’interno ospita dipinti del Sei e del Settecento, oltre alle decorazioni progettate da Tito Chini, cugino del più noto Galileo. A Tito Chini si devono anche le decorazioni del fonte battesimale nella badia di Susinana, a pochi chilometri dal borgo, e a brevissima distanza dal confine regionale: l’opera è una curiosa riedizione in stile liberty del famosissimo Battesimo di Cristo del Verrocchio e di Leonardo da Vinci conservato agli Uffizi.
Nella frazione di Quadalto, vicina al centro storico, si trova invece il Santuario della Madonna della Neve, che conserva un’immagine di fine Cinquecento della Madonna col Bambino, che la tradizione popolare vuole miracolosa. Immersa nel paesaggio è anche la seicentesca Villa di Gruffieto (diventata oggi quella che si suol dire “location per eventi”), che ospitò diverse volte Dino Campana, anche quando si struggeva d’amore per la sua Sibilla e si accorgeva di “sragionare” e si augurava di ritrovare “forza tra le braccia della mia Sibilla”. Ancora oggi la calma e la bellezza di questi luoghi persi nella natura più deserta ispirano sicuramente amore romantico. Ma va bene anche se è meno tormentato di quello del grande poeta.
Toscana da scoprire è una collaborazione iniziata a luglio tra Informatore e Finestre sull’Arte, testata giornalistica che si occupa di arte antica e contemporanea, per raccontare ogni settimana sul sito dell’Informatore i più bei borghi toscani ancora da non perdere.