Montescudaio: il borgo-terrazza sulla Val di Cecina

Panoramico e denso di arte antica e contemporanea, è citato anche da D'Annunzio.

Finestre sull'Arte
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Testata giornalistica che si occupa d'arte antica e contemporanea.

I vicoli di Montescudaio sono deserti, a ora di pranzo. L’unico rumore che s’ode è il frusciare del vento che salendo dal mare s’insinua tra le strette case di pietra della parte alta del borgo e poi scende a spazzare le due stradine principali, quasi due rette parallele unite tra loro da un labirinto di viuzze, volte, scalinate, dove le poche attività artigianali rimaste nel centro storico a quest’ora tengono serrati i battenti. Non c’è motivo di tenere aperto: la cittadina è tagliata fuori dai circuiti del turismo di massa e non sono molti i viaggiatori che dal mare di Cecina e del litorale livornese sconfinano in provincia di Pisa e s’arrampicano fino a Montescudaio, anche se il viaggio è di breve durata: da Cecina saranno dieci minuti d’auto, non di più, lungo un’agile strada panoramica che attraversa un bosco di lecci per arrivare fino ai piedi di quello che un tempo fu il castello del borgo.

Il castello era quello dei conti Della Gherardesca, primi tenutari del feudo, già a partire dall’undicesimo secolo: s’impiantarono qui, tanto che ne nacque un ramo della famiglia, i “conti di Montescudaio”. Erano di carattere decisamente difficile, superbo e poco conciliante, a tal punto che ebbero anche l’ardire di ribellarsi alla Repubblica di Pisa, dalla quale il borgo dipendeva. I conti di Montescudaio riuscirono a portare dalla loro parte gran parte dei castelli della costa: Rosignano, Vada, Bibbona, Guardistallo. E per i pisani fu una sorta di tradimento. Riuscirono a domare i conti a fatica, ma le conseguenze non furono drammatiche: meglio non provocare feudatari così riottosi. Ci pensarono i montescudaini a mandar via i conti: accadde dopo il 1406, quando Pisa fu conquistata da Firenze, e i fiorentini, negli anni Settanta, concessero a Montescudaio di costituirsi in Comune dopo l’ennesimo voltafaccia dei conti, questa volta ai danni di Firenze, che pure li aveva resi vicari di Maremma.

La sola testimonianza di queste vicende storiche è oggi costituita dai resti del castello, parzialmente distrutto a seguito d’un terremoto che colpì la zona nel 1846. Un castello da intendere in senso allargato, visto che al suo interno c’erano la chiesa, la canonica, il Palazzo Pretorio, case, giardini. Oggi rimane invece soltanto il bastione della Guardiola, antica torre d’avvistamento diventata una sorta di spettacolare belvedere sulla val di Cecina, con la vista aperta ad abbracciare il mare.

Gli abitanti ne vanno orgogliosi perché dicono che si tratta di uno dei panorami più vasti della Toscana: nelle belle giornate, da questa splendida terrazza lastricata in cotto si vede il profilo della Corsica lontana. A chiudere la vista, sul lato che guarda verso Volterra, è la chiesa dell’Assunta, la principale del borgo, di origini antiche, dato che la prima menzione risale al 1092: distrutta anch’essa nel 1846, come tutta la parte alta del borgo, fu ricostruita negli anni Cinquanta dell’Ottocento, e assunse l’aspetto odierno. All’interno, ci si sorprenderà a vedere una non trascurabile Annunciazione di Andrea Vicentino degl’inizi del Seicento: un’attribuzione recente, dal momento che fino al 2014 il bel quadro era genericamente assegnato a un ignoto di scuola veneta, e solo dopo il restauro di pochi anni fa s’è avanzato il nome di questo collaboratore del Tintoretto. Quadro che potrebbe esser stato semplicemente acquistato sul mercato antiquario da qualche benefattore dell’abbazia: il Vicentino era infatti solito dipingere opere che sarebbero finite sul mercato.

Appena sotto alla Guardiola, si dispone il pittoresco rione di Poggiarello, l’unico sopravvissuto al terremoto della parte alta di Montescudaio: casette in pietra a uno o due piani che si allineano ammassandosi lungo le ripide erte che portano al castello.

Scendendo invece dalla parte opposta, s’incontra l’ombra dell’alta Torre Civica, che in antico segnava l’accesso al castello, e ci s’incammina verso la più alta delle due vie principali: ci s’accorgerà che, tolte poche eccezioni, vale a dire Palazzo Ridolfi Palazzo Guerrini, ovvero le residenze delle due principali famiglie che abitarono il borgo in epoca storica, e il Municipio (vicino al quale trova spazio il gradevole oratorio della Santissima Annunziata, con la sua facciata in finto stile neoclassico degli anni Trenta), a Montescudaio non esistono palazzi magnifici o semplicemente di grandi dimensioni: Montescudaio è sempre stato un povero borgo di contadini, che passavano la loro misera esistenza tra le stalle dov’erano ricoverati gli armenti, le fattorie, i frantoi, i campi della val di Cecina.

Un’esistenza sempre uguale, scandita dai ritmi della terra, in un borgo che s’era congedato dalla storia dopo essere entrato nell’orbita di Firenze. Tanto che, dopo la seconda guerra mondiale, gli abitanti, richiamati dalle possibilità di lavoro che offriva la costa, abbandonarono in massa Montescudaio, che nel giro di due decenni si trovò, all’inizio degli anni Settanta, con metà della popolazione che aveva nel dopoguerra. Una situazione che s’è ristabilita solo negli ultimi anni, dal momento che la vicinanza a Cecina e al mare hanno fatto della piana che circonda il colle su cui sorge il borgo un’area d’industrie e commerci.

Il borgo rimane però avvolto dal silenzio. Ed è forse questo uno dei motivi per cui alcuni, magari rinunciando a visite a località più note e battute, salgono fin qui, all’ombra dei lecci, nella frescura della brezza marina che lambisce le prime propaggini delle colline che accompagnano il corso del Cecina, tra queste mura antiche segnate ogni anno da interventi d’artisti urbani, per ammirare le vestigia del borgo, e quell’incomparabile vista che riecheggia una delle pagine più poetiche del Forse che sì forse che no di D’Annunzio, che racconta d’una notte in cui Aldo Inghirami, da una terrazza della sua dimora volterrana, rivolge uno sguardo al paesaggio: “nella valle biancheggiavano le crete lunari come un’ adunazione di mausolei; laggiù, perfidamente luccicava la Cecina serpigna; laggiù laggiù, fra Montescudaio e Guardistallo, il suol marino era una profondità eterea come la dimora dei Mani”.

Toscana da scoprire è una collaborazione iniziata a luglio tra Informatore e Finestre sull’Arte, testata giornalistica che si occupa di arte antica e contemporanea, per raccontare ogni settimana sul sito dell’Informatore i più bei borghi toscani ancora da non perdere.

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