Trama
Un professore di fisica, non vedente, si trova a svolgere una supplenza di un anno in un liceo.
Da subito, inaugura un metodo didattico nuovo, che per lui è l’unico possibile: per poter conoscere i ragazzi, non vedendoli, ha bisogno di sentirli parlare, di sentirne le storie i pensieri e infine di poterli toccare, usando il tatto come mezzo di conoscenza.
Inaugura così il metodo dell’Appello: ogni mattina, Elena, Oscar, Elisa, Mattia e i compagni, ognuno con storie difficili, parlano di sé, dei propri stati d’animo, di cosa è successo alle loro famiglie, dei rapporti con i genitori, del loro corpo e delle loro speranze.
Omero Romeo, questo il nome del professore, non riesce a fare scuola diversamente, la conoscenza per lui parte dalla relazione, senza la quale non può esserci apprendimento. Il professor Romeo cerca di diffondere questo metodo fra i professori suoi colleghi, ma intorno a lui si erge un muro, a partire dal preside.
Solo il professore di scienze motorie riuscirà a fargli capire che questo muro dei colleghi è un muro di sofferenza e che prima che con i ragazzi il metodo dell’Appello, ossia della relazione umana, deve esistere fra colleghi. Solo così si riuscirà a far scuola in modo diverso, senza costrizioni, senza freddezza, ma con calore e umanità.
Le scienze vengono insegnate partendo dalle domande degli allievi, partendo dal presupposto che la fisica è tutto ciò che ci circonda.
Gli studenti sono entusiasti e operano una rivoluzione, rifiutandosi di fare lezione se prima della lezione non si mette in atto l’appello con il racconto breve e quotidiano di loro stessi.
Le nostre riflessioni
Il libro non è stato particolarmente apprezzato. Pur riconoscendo l’impegno dell’autore nel mettere in risalto il tema della scuola, i partecipanti al Circolo hanno sottolineato che questo impegno non ha prodotto un’opera valida, né delle idee costruttive per rinnovare aspetti della scuola sicuramente da rivedere.
I ragazzi parlano una lingua aulica assolutamente irreale e, pur conquistando la loro fiducia, per gli insegnanti sarebbe impossibile avere delle confidenze tanto profonde da parte dei loro studenti adolescenti.
Inoltre, non ha convinto il fatto che oltre al tema della scuola, della relazione fra alunni e insegnanti, l’autore abbia voluto inserire parti più personali relative alla storia familiare del professore che, padre e marito felice, intende parlare dell’Amore con la A maiuscola, perdendosi in riflessioni spesso retoriche e a tratti patetiche.
Non è chiara nemmeno la simbologia della cecità del professore, forse solo funzionale a rendere credibile il metodo dell’Appello.
La lunghezza e la ripetitività del romanzo, privo peraltro di una trama definita anzi solo abbozzata, rende la lettura faticosa.
Il dibattito fra i partecipanti al Circolo è stato interessante e vivace, molti sono stati gli interrogativi su quali fossero veramente gli obiettivi dell’autore, se in fondo il libro non sia un inno positivo ai giovani nell’età critica dell’adolescenza, un’età in cui spesso i ragazzi vengono criticati, denigrati e non sufficientemente ascoltati.
Il risultato però è una prosa ripetitiva, un romanzo troppo lungo, un dialogo improbabile e poco realistico fra giovani e adulti, dove la lingua degli studenti, è quella dei professori colti piuttosto che quella di giovani adolescenti.