
Trama
È una serata umida a Dublino quando la biologa Eilish Stack sente qualcuno bussare alla porta. Due uomini della polizia segreta venuti a cercare suo marito, Larry, vicesegretario del sindacato insegnanti, che non è ancora rientrato. «Non c’è niente di cui preoccuparsi» le dicono gli agenti in tono cortese. Ma una volta che se ne sono andati, Eilish ha l’impressione che le ombre della notte siano entrate in casa. Da qualche tempo il partito di destra National Alliance è salito al governo e ha approvato delle leggi che gli attribuiscono poteri d’emergenza. E ora Larry è inghiottito dal labirinto burocratico dello Stato. La vita di Eilish e dei suoi quattro figli sprofonda nel caos così come il resto del paese…

La citazione degna di nota
L’alba è arrivata ma il giorno se n’è già andata

Le nostre riflessioni
“Il canto del profeta” di Paul Lynch è stata senz’altro una lettura che non ha lasciato indifferente il circolo, anzi. C’è chi l’ha definito angosciante, chi ha avuto bisogno di tempo per leggerlo dosando la storia, e anche chi non è riuscito a terminare il libro perché sopraffatto dal crescendo drammatico e pesante.
Disicuro Lynch non fa alcuno sconto al lettore mettendogli tra le mani una vicenda tragica dalla veste distopica ma talmente reale da risultare terrificante: una sera la polizia bussa alla porta di una famiglia come tante e da lì tutto precipita. La facilità con cui una vita normale – un paese – può andare in pezzi è estraniante eppure così fattibile e rapida. Impossibile, quindi, non cogliere connessioni con il mondo di oggi. Lynch ambienta il suo libro inIrlanda ma la storia è universale.
La protagonista, simbolo di una donna decisa a difendere la sua famiglia e la sua patria, crede fino all’ultimo che sia possibile vivere liberamente nel paese in cui è nata, pensa di poter salvare coloro che ama, il marito, i figli. Non è remissiva né si crogiola nel dolore, va semplicemente avanti a ogni costo. Ma quando invece si rende conto che non è affatto così prova un’impotenza gigantesca. Si rassegna ad andarsene quando ormai è già tardi, emigrando a bordo di una imbarcazione di fortuna la cui immagine finale scopriamo esserci tanto familiare perché è ciò che mostrano i giornali quasi ogni settimana.
La scrittura a prima vista è difficile e non immediata, richiede un po’ di attenzione, ma è apprezzabilissima, uno stile molto alto che ricorda per certi versi José Saramago.
Le parole de “Il canto del profeta” riescono nell’intento di disturbare e trascinare, sono affilate come coltelli e penetrano improvvisamente la nostra quotidianità. Il ritmo è incalzante, quasi soffoca, ma è tutto voluto. Qualcuno ha notato rimandi al film “Le vite degli altri”.
Un plauso al traduttore Riccardo Duranti.

Lo consigliamo a...
A tante persone affinché ci si continui a porre la domanda fondamentale: che cos’è la libertà?

Le parole chiave del libro
Distopia
guerra civile
dittatura
Irlanda