«Su per la viva luce passeggiando»: atmosfere e parole di luce nel Paradiso

Con questo approfondimento tematico prosegue il nostro viaggio nella lingua della Commedia di Dante con gli esperti linguisti dell'Accademia della Crusca.

Dico che l’usanza de’ filosofi è di chiamare “luce” lo lume, in quanto esso è nel suo fontale principio; di chiamare “raggio”, in quanto esso è per lo mezzo, dal principio al primo corpo dove esso si termina; di chiamare “splendore”, in quanto esso è in altra parte alluminata ripercosso (Conv. 3.14.5).

Con queste parole Dante nel Convivio spiega la distinzione tra luce, raggio e splendore: l’intero campo semantico della luce e della luminosità è infatti pienamente adottato da Dante nella propria opera ed è applicato con precisione specialmente nella Commedia, dove distingue anche la luce dal lume, che della luce è la manifestazione visibile.

La luce è infatti parte fondamentale della costruzione stessa del viaggio oltremondano di Dante: la presenza (o assenza) della luce plasma potentemente le atmosfere di ogni cantica, dall’Inferno, «ove non è che luca» (Inf. IV.151), fino al Paradiso, dominato da una luminosità accecante che si declina in varie manifestazioni.

La parola luce ricorre nella Commedia con vari significati: il significato di ‘radiazione luminosa’, ‘atmosfera o luogo illuminato’ (come nel verso di Purg. III.89 «Come color dinanzi vider rotta / la luce in terra dal mio destro canto, / sì che l’ombra era da me a la grotta, / restaro, e trasser sé in dietro alquanto», in cui si descrive lo stupore delle anime purganti nel constatare che Dante è «corpo uman», cioè corpo di uomo vivo); il significato di ‘corpo celeste’, ‘stella’ («sì come luce luce in ciel seconda», Purg. XXIX.91), di ‘occhi’ («Tu sè sì presso a l’ultima salute», / cominciò Bëatrice, «che tu dei / aver le luci tue chiare e acute…», Par. XXII.126), e di ‘capacità di vedere’ («vid’ io uno scaleo eretto in suso / tanto, che nol seguiva la mia luce», Par. XXI.30).

L’accezione più importante e più frequente nel poema è tuttavia quella legata alla luce divina e che caratterizza quindi il Paradiso: è la luce di Dio, luce della Verità e luce eterna. La luce divina scende al pellegrino, che attraversa le sfere celesti salendo grado a grado, come una «ploia»: è una pioggia luminosa e accecante che è luce di Dio, luce delle sfere che il pellegrino attraversa e delle anime beate che incontra. Anche le anime dei beati sono spesso indicate proprio con la parola luce: sono luci talmente abbaglianti da essere ottundenti, avvolte in un prodigioso splendore, luci che coruscano (‘mandano bagliori, lampeggiano’) quando sorridono.

La luce serve al narratore per visualizzare e rappresentare l’invisibile e per poter dire l’ineffabile, il divino. Dante rappresenta il Paradiso con pennellate di luce che variano di intensità e sfumatura di canto in canto, grazie al ricchissimo repertorio lessicale cui attinge: oltre a luce – e a lucere e lucente – sceglie vocaboli come lume, splendore, lucore, fulgore, chiarezza. Con queste parole raffigura il suo viaggio permettendone vividamente la figurazione: non è un caso che ad esempio l’aggettivo chiaro ricorra nella prima cantica solo quattro volte  –  col significato di ‘illuminato dalla luce’ si trova solo a Inf. XXXIV.134, dopo che Dante e Virgilio sono usciti dalla voragine infernale («Lo duca e io per quel cammino ascoso / intrammo a ritornar nel chiaro mondo») – e che anch’esso concentri la maggior parte delle occorrenze nella terza cantica.

La chiarezza, che della luce è la prima manifestazione sensibile, è infatti criterio costitutivo del Paradiso, regno «che solo amore e luce ha per confine» (Par. XXVIII.54) e che Dante, così straordinariamente, riesce a raccontarci.

Bibliografia

  • Marco Ariani, Lux inaccessibilis. Metafore e teologia della luce nel Paradiso di Dante, Roma, Aracne, 2010.
  • Marco Bollini, Dante visto dalla luna. Figure dinamiche nei primi canti del Paradiso, Bari, Edizioni Dedalo, 1994.
  • Simon Gilson, Medieval Optics and Theories of Light in the Works of Dante, New York, The Edwin Mellen Press, 2000.
  • Bruno Nardi, Saggi di filosofia dantesca, Firenze, La Nuova Italia, 1967.
  • Chiara Murru, «Da molte stelle mi vien questa luce»: la luce nella Commedia, in Dante, l’italiano, a cura di Giovanna Frosini e Giuseppe Polimeni, Firenze, Accademia della Crusca – goWare, 2021, pp. 127-128.
  • VD = Vocabolario Dantesco, in elaborazione presso l’Accademia della Crusca con la collaborazione dell’Istituto CNR Opera del Vocabolario Italiano, consultabile in rete all’indirizzo www.vocabolariodantesco.it

( a cura di Chiara Murru, Accademia della Crusca)

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