«Come, scusa? Non ti followo». A volte, succede di non capire figli o nipoti. Ma non è l’apparecchio acustico a essere andato in tilt, e neppure il cervello. Semplicemente, loro, i più giovani, parlano un’altra lingua. Una lingua che ha richiamato anche l’attenzione dell’Accademia della Crusca, che ha dedicato al tema il libro, L’italiano e i giovani. Di uso lo scorso autunno in occasione della “Settimana della lingua italiana nel mondo”, è dotato anche di un piccolo glossario per provare a intendersi.
Sgombriamo subito il campo dai possibili equivoci: le incomprensioni profonde e le fratture che si creano fra adulti e giovani non sono dovute alle parole più o meno “strane” che questi usano per comunicare, ma sono il frutto di mancata attenzione e cura, dell’incapacità di mettersi nei panni dell’altro. Ne è sicura anche Annalisa Nesi, già professoressa di Linguistica all’Università di Siena, che ha curato il volume. Ma provare ad avvicinarsi al mondo adolescenziale partendo dal lessico può essere utile.
Dalle radio libere ai social media
«Non è un fenomeno recente quello del linguaggio giovanile, se ne ritrovano esempi anche nei testi di autori importanti come Vittorini, ma è dagli anni ‘70 con l’avvento delle radio libere e poi dagli anni ‘80 con le tv private che il fenomeno si consolida con i tormentoni tipici dei programmi televisivi, quelli comici come Drive in particolare – spiega Nesi -. All’inizio era esclusivo delle grandi città, poi si è diffuso ovunque. Oggi i social media ne favoriscono un’estensione ancora maggiore».
Ecco perché da nord a sud, tutti gli under 20 si salutano con parole come fra’ (o fratm, con inflessione napoletana, che significa fratello), raga (abbreviazione di ragazzi), zia (riservato alle amiche e alle ragazze in genere). All’influenza della musica rap o trap, che propone testi molto vicini alla lingua parlata, si deve invece una parte delle tante parole di derivazione inglese di cui i ragazzi infarciscono i loro discorsi, come bro (da brother, fratello), bestie (il migliore amico), drippare (avere stile).
In molti casi, la fonte va ricercata nel mondo dei videogiochi e di internet in genere: è il caso di sgamare (da game, gioco), di followo (dal verbo to follow, seguire), che ritroviamo anche nel sottotitolo del libro della Crusca citato nell’attacco di questo articolo, oppure di lovvo (da to love, che deriva dall’abitudine di mettere il cuoricino quando il post su Instagram piace).
Quali di queste entreranno nel vocabolario
Ci domandiamo: quante di queste parole sopravvivono con il passare degli anni e diventano parole da “grandi”?
«Difficile dire quali termini entreranno nel vocabolario degli adulti, ma succede. Ad esempio se genitori e gli adolescenti hanno l’abitudine di trascorrere il tempo insieme cimentandosi con i videogiochi, sarà spontaneo usare la stessa terminologia», e allora può accadere di sentire uscire dalla bocca di qualche adulto parole come shoppare, killare, trollare (comprare, uccidere, prendere in giro). È anche un modo per entrare maggiormente in sintonia.
Nella relazione figli-genitori o in quella nonni-nipoti, può essere utile anche sapere che quando vi viene detto: «Sei cringe», non è un complimento, ma si vergognano di farsi vedere insieme a voi dagli amici, per come siete vestiti o vi comportate. Se vi danno dello snitch, vuol dire che avete fatto la spia e allora probabilmente seguir un dissing, cioè una risposta a tono, condita spesso da accuse. Ma se in un momento di serenità, fra una lite e l’altra, vorranno “sbloccare un ricordo” di quando erano piccoli, basterà rispondere con un abbraccio, che in tutte le lingue significa amore.