Battesimo (del fuoco o sportivo), sacrificio e martirio (durante il Risorgimento e la Resistenza), figliol prodigo (anche per chi torna al partito politico da cui era uscito), apostolo (di un’idea), miracolo (economico o sportivo). Sono alcuni esempi di parole o espressioni che, come dice la professoressa Rita Librandi, vicepresidente dell’Accademia della Crusca, «fanno parte integrante del nostro parlato quotidiano e testimoniano le radici cristiane della nostra lingua». Di questo e altro si parlerà a “Piazza delle Lingue”, evento organizzato dall’Accademia sin dal 2007 che quest’anno si terrà a Firenze dal 9 all’11 novembre (al Museo dell’Opera del Duomo e alla Villa di Castello, sede dell’Accademia), e avrà come tema “L’italiano, la Chiesa, le Chiese”.
La professoressa Librandi sottolinea come l’italiano testimoni in tanti modi lo stretto legame con la fede cristiana: «Se è vero che i nostri volgari nascono da un latino parlato già intriso di molti termini provenienti dal latino dei cristiani che si erano via via diffusi fra il popolo, è ancor più vero che la Chiesa ha sempre usato nella comunicazione con i fedeli una lingua accessibile, contribuendo alla sua diffusione».
Basti pensare che, fin dal ‘5-600, l’insegnamento del catechismo è avvenuto in italiano e su testi scritti in italiano, e che spesso nelle scuole di catechismo si insegnava a leggere e a scrivere ai bimbi più poveri. «Valga l’esempio – prosegue Librandi – di don Giovanni Bosco, apostolo della “carità della lingua”, che organizzò, nell’‘800, scuole per i poveri, dove si imparava un lavoro, si studiava l’italiano e si leggevano libri ideati per i ragazzi e pubblicati nelle stamperie salesiane».
Lingua del dialogo
Secondo Librandi, inoltre, «la Chiesa contribuisce da secoli alla diffusione dell’italiano all’estero: con le missioni, per esempio. Ma non basta: da alcuni decenni l’italiano è la lingua con cui religiosi di Paesi diversi parlano fra loro, perché l’hanno studiata a Roma. Il latino è la lingua ufficiale della Chiesa, ma più che altro sulla carta, perché nei fatti è l’italiano. E gli ultimi pontefici hanno parlato al mondo in italiano».
Così la nostra potrebbe divenire la “lingua del dialogo tra le diverse fedi”; se ne parlerà sabato 11 con il cardinale Gianfranco Ravasi in una conferenza della “Piazza”. E le varie fedi, secondo Librandi, possono incontrarsi «sulle parole che il papa usa spesso e che più uniscono: pace, amore per la natura, immigrazione, accoglienza e inclusione».
Quando la scuola non basta
E a proposito di accoglienza e integrazione, qual è il ruolo dell’italiano? «È fondamentale – conclude la professoressa -. La nostra scuola, però, non riesce a garantire ovunque e per tutti gli immigrati un apprendimento pieno della nostra lingua, con conseguenze gravi sull’inserimento lavorativo o sulla prosecuzione degli studi. Il più alto tasso di abbandono scolastico oggi riguarda i ragazzi che provengono da contesti di immigrazione. I problemi sussistono non tanto per il parlato della quotidianità, ma per l’italiano della comunicazione professionale. Tra i rimedi: una scuola a tempo prolungato, utile anche per gli studenti italiani, e un’adeguata formazione degli insegnanti».
Curiosità
Nei secoli passati, racconta Librandi, le donne «spesso sceglievano la vita religiosa per non sottostare a matrimoni combinati e per poter studiare. E sono tante quelle che hanno scritto libri. Non c’è stata solo la monaca di Monza».