«Per lui tutto il mondo – senza eccezioni – era tutto forma e tutto colore e i suoi occhi sapevano scoprire sempre il vero dentro le apparenze. Il suo sforzo costante fu sempre quello di ritrarre questa vita interiore e quasi direi emozionale della realtà, per mezzo del suo studio intenso ed assiduo di tutte le cose. (…) egli era semplicemente un grande pittore di tutta la natura». Così Oscar Ghiglia – pittore e livornese, proprio come “lui” – descriveva l’opera di Giovanni Fattori a cui, in occasione del bicentenario dalla nascita, la sua città rende omaggio con “Giovanni Fattori. Una rivoluzione in pittura”, aperta a Villa Mimbelli, sede del museo dedicato all’artista, fino all’11 gennaio prossimo. Oltre 200 le opere in mostra, di cui molte poco o mai viste, fra dipinti, disegni e acqueforti. Soffermatevi su queste ultime, perché sono dei piccoli capolavori: Fattori è stato infatti un eccezionale incisore, con uno stile personale e rigoroso che lo portò a realizzare oltre 200 lastre, un record nell’arte italiana.
Maestro dei Macchiaioli, certo, e poi l’artista della natura, e della vita sociale e militare colta nei suoi aspetti più umani: ma perché accostarlo alla parola “rivoluzionario?”. «In realtà Fattori fu un pittore doppiamente rivoluzionario – spiega il curatore della mostra, Vincenzo Farinella -: sia negli anni eroici della “macchia” e della scuola di Castiglioncello, quando fu uno dei maggiori protagonisti del radicale rinnovamento dell’arte italiana che avviene nel settimo decennio dell’Ottocento, sia negli anni della maturità e della vecchiaia, quando la rottura delle regole accademiche e dello spazio prospettico (…) lo propone come un maestro decisivo per i giovani artisti che si affacciavano al Novecento».
Non solo “macchia”
Le 24 sale della mostra, allestite seguendo un ordine cronologico, permettono di comprendere meglio il percorso artistico di Fattori, approfondirne alcuni aspetti, scoprire curiosità e novità. Come il dipinto “bifronte”, che è possibile ammirare per la prima volta nella sua completezza, Una carica di cavalleria a Montebello: un intervento di restauro ha svelato infatti sul retro un abbozzo di tema mediceo, poi coperto dallo stesso artista che, sull’altro lato della tela, abbandonato il soggetto romantico, si dedicò invece a uno dei grandi fatti della storia d’Italia a lui contemporanea. O come i bellissimi disegni – soldati e cavalli, contadini e butteri, animali della Maremma – che nascono dall’osservazione diretta e che sono spesso preparatori a dipinti o incisioni.
E poi il dipinto Ciociara. Ritratto di Amalia Nollemberger, tra le opere più raramente esposte, visibile per la prima volta dal 2016, che ritrae la appena diciannovenne governante tedesca di casa Gioli Bartolommei, che il pittore frequentava per dare lezioni private di disegno alla figlia adolescente della marchesa, di cui il pittore si innamorò e che diede vita a un forte e travolgente legame sentimentale, ma anche a una controversa vicenda personale, a causa della differenza di età. L’unico ritratto che ci sia pervenuto di Amalia, a lungo conservato dall’artista nello studio, è una testimonianza della grande umanità di Fattori che, in una lettera appassionata, scrive alla sua amata: «Io pure vedo il tuo ritratto, ora non ci ho altro – e lo bacio – anche la ciociara che mi sta davanti mi ricorda di te».
Maestri e allievi
Oltre a Fattori, in mostra alcuni dei suoi maestri, come Giuseppe Bezzuoli e Enrico Pollastrini, diversi amici artisti come Nino Costa, Niccolò Cannicci, Egisto Ferroni e Francesco Gioli, insieme ad alcuni allievi come Plinio Nomellini. Quanto a quest’ultimo, soffermatevi nella sala che sottolinea quanto l’allievo si sia allontanato dal maestro, mettendo a confronto due dipinti dedicati al Risorgimento, Hurràh ai valorosi di Fattori, essenziale, lontano da trionfalismi e idealizzazioni (perché «l’arte libera soddisfa e consola e distrae»), e Garibaldi di Nomellini, tutto incentrato sulla glorificazione eroica del condottiero.
La mostra si chiude con la testimonia anche nza dell’eredità di Fattori e degli influssi non solo sui maggiori rappresentanti della scuola livornese – da Mario Puccini a Giovanni Bartolena, da Renato Natali a Gastone Razzaguta -, ma anche su artisti che sono ritenuti fra i protagonisti assoluti del nostro ‘900, come Oscar Ghiglia, Lorenzo Viani, Giorgio Morandi, Amedeo Modigliani (in mostra, di quest’ultimo, Stradina toscana).
Ingresso in convenzione per i soci Unicoop Firenze.
