Penso positivo

Allenare l’ottimismo si può: vediamo come. Ne abbiamo parlato con Silvia Casale, professore associato di Psicologia clinica dell’Università degli Studi di Firenze

Sembra che Winston Churchill avesse ragione quando affermava: «L’ottimista vede opportunità in ogni pericolo, il pessimista vede pericolo in ogni opportunità».

Secondo recenti studi, infatti, sembra che l’essere ottimisti ci aiuti a vivere meglio e magari ci allunghi anche la vita. Ma è veramente così? «Isolare gli effetti dell’ottimismo, capire cioè – senza tener conto di altre variabili – quanto riesca a migliorare l’aspettativa di vita e quanto la sua assenza ne modifichi la qualità e la durata non è facile – spiega Silvia Casale, professore associato di Psicologia clinica dell’Università degli Studi di Firenze -. Ma non vi è dubbio che ci siano studi scientifici, anche recenti e su vasta scala, che hanno messo in luce come l’ottimismo sia associato a minor rischio di alcune cause di mortalità e, soprattutto, a minor frequenza di eventi cardiovascolari».

Ci sono effetti sul sistema immunitario?

È una questione complessa e molto variabile per diverse circostanze. Se la durata degli eventi che provocano stress è breve e l’individuo li percepisce come controllabili, l’ottimismo migliora i suoi effetti sul sistema immunitario. Quando l’azione dello stress è prolungata e vissuta come poco controllabile, alcune modificazioni ormonali creano difficoltà anche all’ottimista nel gestire la situazione. In sostanza, benché ci sia questa disposizione d’animo, ci può essere una certa difficoltà nell’adattare le proprie strategie ad affrontare gli eventi.

Ottimisti si nasce o si diventa?

Ambedue le cose. Alcuni studi dimostrano come i livelli di ottimismo dei gemelli siano più alti che non nei fratelli non gemelli, quindi un po’ ci si nasce. D’altro canto, è stato anche osservato che l’ereditarietà per l’ottimismo è soggetta a cambiamenti nel corso della vita e quindi è, senza dubbio, anche una disposizione che si sviluppa e si modifica.

Come si arriva ad essere ottimisti?

In assenza di disturbi mentali che creino difficoltà ad avere prospettive ottimistiche, e che necessitano di un intervento di un professionista del settore, è possibile addestrarsi ad avere un dialogo con noi stessi che si attivi davanti ad alcuni eventi importanti. Qualche esempio: a chi o a cosa attribuiamo la responsabilità di un evento negativo o positivo e quanto tendiamo a generalizzarne le origini? Nel nostro dialogo interiore dovremmo addestrarci a dare spiegazioni occasionali e oggettive legate alle avversità della vita, mentre agli eventi positivi sono da riservare spiegazioni personali, generali e permanenti.

Ad esempio?

La differenza sostanziale fra un pessimista e un ottimista non sta nel fatto che all’ottimista accadono meno eventi negativi (anche se questo può predisporre all’ottimismo), ma che egli attribuisce il loro verificarsi a condizioni temporanee o non necessariamente personali (l’ottimista dice, ad esempio: non ho ottenuto il lavoro perché al momento del colloquio ero stanco) e non interne (il pessimista invece dice: sono sfortunato). Viceversa, si può imparare ad attribuirsi il merito per gli eventi positivi e a dare spiegazioni generali (per esempio dirsi: sono una persona tendenzialmente capace).

Qualche stratagemma?

Tenere un diario quotidiano dove si annotano gli eventi significativi della giornata e della spiegazione che ad essi attribuiamo può essere una base di partenza per avviare il proprio dialogo interiore e, quindi, individuare se sia necessario modificarlo. Inoltre, è utile addestrarsi a trattare i pensieri pessimistici per ciò che sono: solo pensieri, per l’appunto, cioè semplici prodotti della propria mente e non letture incontrovertibili di ciò che siamo, è accaduto o potrebbe accadere.

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