Creatività, saper fare e abilità: chi ha più cervello lo usi. Thomas Edison (1847-1931), il famoso inventore americano, sapeva come attingere alle sue facoltà intuitive. Prendeva sonno con una biglia d’acciaio in mano. Lo scopo? Entrare in uno stato di semicoscienza, fare cascare per terra la biglia e, col rumore dell’urto, riprendere coscienza di scatto. È in quel preciso momento che schizzava fuori la genialità. Anche Albert Einstein ha detto che la migliore idea della sua vita era nata da un brusco risveglio dovuto a una perdita d’equilibrio durante un pisolino su una sedia.
Mente locale
Ebbene, Delphine Oudiette, ricercatrice presso l’Istituto del cervello di Parigi, conferma l’intuizione di Edison. L’esperta dell’addormentamento, questa fase di transizione ancora mal conosciuta fra veglia e sonno, fonda le sue conclusioni su un esperimento che ha coinvolto 103 persone su come venire a capo di un problema di matematica, di un esercizio complesso ma risolvibile, con un po’ di creatività.
Ad affrontare la questione due gruppi: uno costituito da gente rimasta sveglia durante l’intera durata dell’esperimento; nell’altro dei volontari lasciati liberi di addormentarsi ma svegliati di colpo, prima di sprofondare nel sonno. Beh, questi ultimi sono stati tre volte più numerosi nel risolvere il problema di quelli rimasti svegli. «Se, quindi, volete ottimizzare la vostra creatività, la fase di sonno-sveglia è la vostra migliore alleata», afferma Oudiette, che precisa: «Il sonno, invece, migliora l’attenzione, la capacità di prendere una decisione e l’umore. E riduce anche il rischio di declino cognitivo sul lungo periodo». Così la scienza apre la mente… Ma ci dice anche che, per trarre il massimo profitto dall’intelletto, una cosa la dobbiamo accettare: le prestazioni cognitive calano nell’arco della giornata.
In tutta la sua complessità
Tutta colpa dell’adenosina. Fondamentale nel trasferimento di energia nel corpo, questo nucleoside inibisce, col passare delle ore, la potenza di agire della mente. La “sede” dell’intelligenza, della volontà e delle inclinazioni raggiunge progressivamente il culmine a mezzogiorno e poi declina inesorabilmente fino alla sera.
Un ciclo quotidiano, questo, annidato nei processi continui di trasformazione del cervello. Tant’è che alcune attitudini mentali sbocciano solo sul tardi nel corso della vita. La memoria di lavoro, per esempio, raggiunge il suo massimo verso i 30 anni, la percezione delle emozioni fra 40 e 60, mentre il trattamento dell’informazione e la capacità di comprensione toccano l’apice verso i 50 anni e rimangono alte durante decenni.
Come migliorare le prestazioni del nostro cervello?
Una tecnica per rendere migliori le prestazioni del cervello c’è: il flow, parola inglese che indica lo scorrere e quindi, in questo caso, il flusso potente e inarrestabile del pensiero in cui ci troviamo immersi quando siamo completamente presi da qualcosa.
Teorizzato nel 1975, è, secondo lo psicologo ungherese Mihály Csíkszentmihályi, «uno stato di attivazione mentale ottimale nel quale il soggetto è integralmente immerso nella sua attività». Arte, sport, musica che siano, «si tratta di uno stato di grazia, di euforia, di totale trasporto», dice la violinista Sylvie Gazeau.
Da un punto scientifico il flow rimane un paradosso: gli esperti sanno come descriverlo ma non ne capiscono l’origine. Si sa solo che accade con l’aumento di una certa tipologia di onda cerebrale che regolarizza la frequenza cardiaca.