Miniere a cielo aperto nel cuore delle nostre città. Formate da montagne di rifiuti di cui, in un’ottica di economia circolare, c’è grande bisogno. In particolare, di materiali elettrici ed elettronici (Raee), fonte preziosa per ricavare le materie prime “critiche”, quelle cioè indispensabili per la transizione ecologica (Green Deal) e tecnologica, che in Europa scarseggiano in natura: importarle ci espone a rischi di speculazione dei prezzi e di dipendenza da altri Paesi.
Il primo impianto in Italia specializzato nell’estrazione e selezione dei metalli preziosi contenuti in schede elettroniche di smartphone e computer sarà operativo entro l’anno in Valdarno, nell’Aretino. Un secondo è previsto nel Senese, sempre del gruppo Iren, dedicato ai pannelli fotovoltaici. Dietro c’è una ricerca di The European House-Ambrosetti secondo la quale ne serviranno almeno 7 di impianti così (per un investimento complessivo di circa 336 milioni di euro), se si vuole intercettare la nuova età dell’oro, del palladio e del rame. Il fabbisogno nell’eolico e nel fotovoltaico, infatti, è in forte icrescita, si stima fino a 11 volte da qui al 2040.
Alternativa sostenibile
I metalli e i minerali detti “critici” sono concentrati nelle mani di pochi fortunati Paesi: Cina, Turchia (per i borati), Sudafrica (per platino, iridio, rodio, rutenio), Cile (per il litio). Quanto all’Italia, che è al secondo posto in Europa dietro la Germania per l’utilizzo di materie critiche, possiede alcuni giacimenti in Piemonte, Toscana e Sardegna, ma è sull’arco alpino che il governo, che vuole riaprire le miniere vere e proprie, ha individuato un buon numero di siti.
Litio e cobalto, indispensabili per le auto elettriche, saranno sempre più importanti. Non di meno lo saranno le materie prime “strategiche”, un sottoinsieme guidato da rame e nichel – usate in settori chiave dell’economia, come energie rinnovabili, mobilità elettrica, digitale, industria aerospaziale, difesa -, e le “terre rare”, nome dato a un piccolo gruppo dalle grandi capacità di conduzione e magnetiche permanenti, che per oltre il 90% provengono dalla Cina.
«A oggi, in un sistema energetico completamente decarbonizzato, noi saremmo totalmente dipendenti dall’estero per le materie critiche (l’Europa al 75%, l’Italia al 99%, ndr), ma con una possibilità enormemente più alta di affrancarci rispetto alle fonti fossili – spiega l’ingegner Roberto Morabito, direttore del Dipartimento Sostenibilità Sistemi Produttivi e Territoriali di Enea -. La strada maestra è la circolarità: le nostre città sono miniere a cielo aperto e i Raee la fonte più certa ed efficace».
Carissime terre
Dai pannelli fotovoltaici dismessi si ricavano silicio, rame e argento, dalle batterie il litio, dai circuiti stampati, oltre al rame e all’argento, il palladio. Negli smartphone ci sono argento, oro e platino, nonché il ricercatissimo rame, che viene rubato in tante città. Le “terre rare” (sandio, lantanio, promezio ecc.) sono, ad esempio, nelle lampade fluorescenti e negli hard disk. «A causa del conflitto in Ucraina e delle guerre dimenticate, per alcune delle materie critiche – continua Morabito – assistiamo a una forte impennata dei prezzi, destinati ad aumentare ancora di più col crescere della domanda, che per alcuni metalli, come il litio, nel 2040 sarà di oltre 40 volte superiore».
L’Europa a marzo ha fissato gli obiettivi in una legge dedicata proprio alle materie prime critiche, il “Critical Raw Materials Act”: entro il 2030 almeno il 10% delle materie prime critiche consumate dovrà essere estratto in Europa, dove dovrà avvenire almeno il 40% della lavorazione, e almeno il 15% dei metalli dovrà arrivare da attività di recupero e riciclo, mentre non più del 65% da un unico Paese terzo. Oggi la stragrande maggioranza dei nostri Raee viene trattata all’estero. Ma di miniere urbane l’Italia, che è grande consumatrice di dispositivi elettronici, è piena, e nel riciclo siamo forti. Il futuro (verde) è anche questo.