Le segnalazioni sul web ogni estate si moltiplicano, ma solo perché siamo spesso sul mare e siamo tutti dotati di telecamera sul telefono. Chiariamo subito: diversamente da quello che molti pensano, non è in corso un’invasione di squali nel Mediterraneo, anzi. «Siamo in uno stato di emergenza: molte specie pelagiche, in particolare nel Mediterraneo, si sono ridotte di oltre il 90%. Le persone temono gli attacchi degli squali, ma si tratta di eventi molto rari. Nel mondo si registrano circa 20 interazioni mortali all’anno, nel Mediterraneo, invece, l’ultimo risale a quasi 50 anni fa. È molto più pericoloso l’ippopotamo, anche se ha un aspetto più simpatico: solo in Sudafrica uccide ogni anno circa 25 donne che lavano i panni in prossimità dei corsi d’acqua».
Parola di Primo Micarelli, biologo marino e docente a contratto all’Università di Siena; ben consapevole della loro importanza, nel 2000 ha fondato il Centro Studi Squali di Massa Marittima con lo scopo di studiarli e proteggerli. «Giusto per dare dei numeri – prosegue Micarelli – nel mondo ci sono 500 specie, di cui 48 nel Mediterraneo. Se non ci fossero gli squali, nel giro di pochi decenni ci sarebbero stravolgimenti gravi a livello planetario: scomparirebbero, per esempio, le barriere coralline, e l’ambiente marino che noi conosciamo sarebbe completamente diverso». Un esempio del ruolo degli squali nell’equilibrio dell’ecosistema marino? Cacciando gli individui più vecchi, lenti o malati, mantengono sane le popolazioni delle altre specie.
Temuti e venerati
Gli squali sono sulla Terra da circa 400 milioni di anni, superando estinzioni di massa che hanno fatto sparire dinosauri e altre specie, e si sono collocati al vertice dell’ecosistema fra gli apex predator, ovvero i superpredatori, creature che esercitano al tempo stesso fascinazione e paura. «È vero, sono animali venerati e temuti sin dall’antichità – spiega il professore -: Aristotele già era a conoscenza delle caratteristiche morfologiche e biologiche, delle differenze sessuali, delle capacità natatorie e della natura cartilaginea degli squali. Plinio il Vecchio, invece, li descriveva come animali pericolosi per i pescatori di spugne, mentre Erodoto li definiva ketè, ovvero “mostri”. Più recentemente, invece, i popoli orientali li hanno considerati come dei “portafortuna” durante le battute di pesca, mentre i popoli del Pacifico li rappresentavano, e li rappresentano tutt’ora, su totem e copricapi, considerandoli i “guardiani delle famiglie”».
Avvistamenti in tutto il mondo
Il Centro Studi Squali di Massa Marittima è un istituto scientifico, riconosciuto dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, che non riceve nessun finanziamento pubblico. «Nonostante questo, andiamo avanti con determinazione, siamo il gruppo di ricerca che ha più pubblicazioni scientifiche a livello europeo sullo squalo bianco – aggiunge lo studioso – e lavoriamo molto anche all’estero: in Sudafrica siamo presenti da oltre 20 anni, da sette anche in Madagascar e Gibuti e da due alle Maldive. Là dove non siamo presenti collaboriamo comunque con altri colleghi, come in Messico, per esempio, perché scambiare dati e informazioni è molto importante».
Un lavoro che richiede professionalità, passione e pazienza. «Qualche volta anche un pizzico di fortuna – conclude sorridendo il direttore -: a giugno sono stato in Sudafrica con il mio gruppo e la coordinatrice scientifica, Francesca Romana Reinero, a bordo della White Shark Africa, per continuare le attività di ricerca ma, a causa di raffiche di vento molto forti, abbiamo dovuto cambiare rotta e ci siamo diretti a Mosselbay. È stato lì che abbiamo assistito e documentato un evento rarissimo, l’attacco da parte di un’orca a uno squalo bianco a pochi metri dalla nostra imbarcazione. L’orca era talmente vicina che abbiamo potuto vedere che cosa aveva in bocca, un pezzo di fegato. Confermandoci quello che dice la letteratura, ovvero che le orche si nutrono solo del fegato e del cuore delle prede, lasciando intatto il resto».