I piatti della stufa

Le lunghe cotture dei nostri nonni

Il concetto di accoglienza si esprime da sempre con l’offerta di cibo e bevande, una manifestazione di affetto universale, che si trova diffusa in tutti i continenti, anche in ambito di culture e usanze diverse.

Nella tradizione contadina, ad esempio, era comune offrire il Vin Santo all’ospite, anche inatteso, addirittura al mattino, per dimostrare l’importanza data a chi veniva a far visita: si trattava, infatti, del vino più prezioso presente in casa. Per quanto riguarda il cibo, nella stanza che funzionava da luogo di cottura, soggiorno e sala da pranzo, era presente la cucina economica vicino al focolare: una pentola messa sopra la piastra custodiva sempre una pietanza che poteva essere servita a tutti gli orari. Nascono in questo modo molte ricette che valorizzano materie povere grazie alla lunga permanenza sul fuoco. È il caso dello stufato, preparato con i tagli di seconda e terza scelta, ricchi di parti più dure e cartilaginose che, grazie al tempo passato sulla stufa, riuscivano ad ammorbidirsi e prendere sapore: la temperatura costante, non altissima, dava la possibilità di proseguire la cottura a lungo senza rovinare l’aspetto e la consistenza del piatto.

La carne di manzo però, nel passato, era un alimento raramente presente sul desco quotidiano e quindi era più facile trovarvi una pietanza a base vegetale. Come la minestra di bietole e spinaci, dove le verdure stufano con la cipolla, l’aglio e l’olio, e poi l’aggiunta di acqua le trasforma in una zuppa che prende sapore soprattutto dalle croste di formaggio fatte cuocere fino a diventare morbide, e dalla ricotta, aggiunta direttamente nella scodella.

La polenta era uno “sfama-famiglie” molto popolare, composto da sola farina di mais e acqua: con l’accortezza di prepararla molto “lenta”, ovvero morbida, per farla ispessire in maniera graduale grazie alle tante ore passate sulla stufa. Nessun condimento elaborato, bastava un po’ di olio (e formaggio) per apprezzarla.

Nella farinata venivano aggiunti i fagioli e il cavolo nero: a quel punto diventava un vero pasto completo. I fagioli erano una presenza costante nel caminetto: la cottura avveniva di notte in un fiasco di vetro non impagliato e riempito di acqua, posto vicino alle braci ancora calde, mentre il fuoco era ormai spento. La mattina i fagioli erano pronti e potevano essere consumati anche a colazione con la cipolla. O con il sugo di pomodoro e aglio, detti anche “all’uccelletto”.

Appartengono alla categoria delle ricette della stufa anche le classiche zuppe toscane, come la ribollita, che nel corso della giornata passava da zuppa di verdura a minestra di pane per poi trasformarsi, a fine giornata, nella pietanza che conosciamo, buona anche il giorno dopo, se avanzava. O come la zuppa lombarda, con pane raffermo e fagioli al naturale, cibo quasi quotidiano dei carpentieri arrivati dal nord Italia a costruire la ferrovia lorenese. Infine, il brodo, servito fumante in tazza con un goccio di vino, per stemperare la parte grassa ampiamente presente, una sorta di corroborante perfetto per le lunghe – e un tempo assai fredde – serate invernali.

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