Trama
Si possono abbandonare i propri genitori? Si può chiudere la porta e decidere che non li si vedrà più? Dopo dieci anni dall’addio alle mura di casa, finalmente un figlio può voltarsi e narrare della sua famiglia senza accusare e soprattutto senza salvare.
Il racconto che ne deriva è il ritratto struggente e lucidissimo di una donna che ha rinunciato a tutto pur di essere qualcosa agli occhi del marito. L’unica certezza è che per mettersi in salvo niente può essere salvato
La citazione degna di nota
E per lei era importante non tanto che lui potesse leggere o fare sport, ma che la riconoscesse per quella che lui stesso aveva voluto che lei fosse, il che forse equivaleva, nella concezione della vita di mia madre, a un disgraziato atto d’ amore. Questo, in generale, credo fu uno dei grandi fraintendimenti tra i miei genitori: lui voleva che lei fosse niente per potere, lui, essere qualcosa, e lei voleva essere niente perché essere niente era almeno qualcosa.
Le nostre riflessioni
In poche pagine questo libro ha testimoniato un mondo intero.
La scrittura netta, incisiva, cruda e crudele. Bajani non fa sconti a niente e a
nessuno. Non stupisce che si tratti di dieci anni di elaborazione dopo l’abbandono. Anni di riflessione sulla disfunzionalità, sulla violenza, sulla fragilità e soprattutto sui silenzi. Tanti, troppi silenzi.
Bajani porta la testimonianza di una famiglia vittima di tante violenze, più o meno silenziose. Le sue sono parole ben studiate e una struttura precisa: alterna approfondimenti sui profili della madre e del padre ad aneddoti della vita familiare, un racconto quasi circolare con un’architettura che vuole mantenere alte tensione e attenzione nel lettore.
Questo libro lascia molta tristezza e molta rabbia, ed entrambi i genitori sono al centro di questi turbamenti.
Il padre rappresenta una figura che si trova in tante, troppe famiglie ancora oggi. Un oppressore che sembra aver scelto una persona adatta all’oppressione, ma, come sempre in questi casi, non è davvero così. La madre aveva delle aspettative e dei piani, ma alla fine ha costruito solo muri attorno a sé, unicamente per la sua sopravvivenza. Per lei abbandonare e farsi abbandonare dai figli era l’unico modo per farlo. La madre deve diventare invisibile, e i figli a loro volta hanno provato a fare lo stesso, anche se in modo diverso.
Per il protagonista questo è un libro terapeutico, anche quando può sembrare sopravvalutato. Un discorso duro ma necessario per raccontare la paura, i tentativi e l’impotenza. Si ritrova nella posizione di doversi salvare da solo, trovando dei luoghi del cuore che siano posti sicuri come non lo sono state le stanze della sua stessa casa. Nemmeno con la sorella è stato possibile creare un fronte comune, perché anche lei è andata via, ma con i suoi modi e i suoi tempi.
Un aspetto molto curioso di questo libro è la scelta di Bajani di non usare nomi. Per qualche lettrice non è stata una scelta felice: lo stile dell’autore e il suo modo di raccontare sottrae tanto all’identità dei personaggi, rendendo difficile empatizzare. Forse l’autore voleva sottolineare che seppur “ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”, spesso gli schemi della violenza sono fin troppo simili.
Il protagonista sarebbe dovuto rimanere? Il gruppo ha inevitabilmente discusso sulla responsabilità dei figli nel sostenere il genitore oppresso, ma la maggior parte ha concordato che salvare se stessi è l’unica scelta possibile in certi casi. Soprattutto quando, dopo anni di dolore e paura, il carnefice si sente in diritto di doverti perdonare per questa tua scelta.
Lo consigliamo a...
A tutti, è un libro universale.
A chi è in crisi con la letteratura italiana.
Le parole chiave del libro
Fragilità
violenza
famiglia
silenzio
dolore
patriarcato
sessismo
abbandono
