Trama
Ambientato nella laguna veneta, essenzialmente negli anni 43/45, questo libro di A. Molesini è scritto sul filo della memoria, che ricorda gli avvenimenti passati – per lo più sentiti raccontare – a sprazzi, con incursioni in avanti e indietro e non in maniera continuativa: questi salti temporali creano attese e suspence, mentre i personaggi si arricchiscono via via di nuove sfaccettature.
Il narratore e protagonista è Guido, ancora adolescente, di cui assistiamo alla crescita accelerata, soprattutto a seguito della morte precoce della madre, ma anche in collegamento diretto con la guerra e il conflitto civile di quegli anni; in un breve arco di tempo Guido conosce il dolore, l’amicizia, la paura, l’amore.
I personaggi non sono molti; tra essi spicca la madre –Elsa- che ama la vita, la poesia, la musica, la luce e teme invece il silenzio e diffida delle nozioni scientifiche che invece regolano la vita del padre “il Comandante” –come tutti lo chiamano– essendo ufficiale della Regia Marina, ma anche capo di un gruppo partigiano. Quest’ultimo è sempre razionale, determinato, capace di gestire ogni situazione con assoluta consapevolezza e coscienza.
Sarà determinante per Guido l’amicizia con Scola, ragazzo più grande e semianalfabeta che però “apprende e sa ascoltare”, dal quale impara molteplici aspetti della vita pratica e la cui tragica fine cambierà per sempre la sua vita e i suoi rapporti con gli altri. Altro personaggio di rilievo è Sussurro, regina vegliarda della palude e indiscussa autorità a cui fare ricorso nei casi di giudizio più delicati, come quello del tradimento che si insinua in quella piccola comunità.
Ci sono poi altre due donne, la somala Maria e l’impudica Francesca che costituiscono la faccia del tormento sessuale e amoroso di un adolescente.
                    La citazione degna di nota
“La sua voce aveva dentro l’amaro delle mandorle tritate e il dolce aspro del limone” (parlando di Maria)
“Quella donna era roccia e risacca, bisbiglio e tifone” (parlando della vecchia Sussurro)
“Era un fanfarone, ma era anche maledettamente vivo, non conosceva la noia, l’inerzia, per lui ogni cosa aveva senso, anche la più stupida, un sorso di vino, un mollusco; si, tutto arraffava, ogni istante, ogni briciola dell’esistere era per lui una sorpresa. Già, Scola non si nutriva, divorava”
                    Le nostre riflessioni
Il titolo del libro è la traduzione di un verso di Anna Achmatova e vorrebbe significare il senso di angoscia che segue un individuo nelle varie fasi del suo sviluppo, quando si sia verificato un evento importante, sconvolgente, di grande portata emotiva, come quello che è successo al protagonista, con la morte del suo amico.
Risalta in questo romanzo il tema dell’amicizia tra maschi, il sapore selvaggio del gioco virile, all’aria aperta… cose d’altri tempi! Colpisce altresì come l’autore descriva con passione i paesaggi opachi e monotoni del Polesine, facendo trapelare tutta la bellezza di vivere nel proprio territorio, rivelando che il luogo di nascita, in qualche modo, è sempre meraviglioso.
Al di là della trama narrativa che fa riflettere sul senso della responsabilità e sa sondare con delicatezza i turbamenti di un adolescente, colpisce e affascina la scrittura così ricca di immagini profonde e piena di metafore emozionanti, capaci di catturare il lettore coinvolgendolo in una storia dai toni poetici anche nelle pagine più drammatiche.
Allo stesso tempo, molte persone fanno rilevare che mentre le descrizioni dei paesaggi sono accurate e trattate con un linguaggio lirico, i personaggi sono abbozzati, descritti quasi come figure bidimensionali, intensi ma privi di vera sostanza.
La costruzione narrativa è interessante, ma i personaggi in sé a volte sono poco credibili. Sicuramente Molesini è capace di una sapienza linguistica, di un preziosismo che avvince, ma la storia non convince fino in fondo, in quanto –a tratti- appare scontata.
                    Lo consigliamo a...
A tutti.
