Presentato alla Festa del cinema di Roma, e dal 30 ottobre nelle sale italiane, Cinque secondi è il film con cui Paolo Virzì torna a toni più lievi, venature di commedia che si fanno largo dentro una trama che affonda nel dolore. «È un film che inizia in modo misterioso. Parte dal buio, da una trama dolorosa, per poi accendersi in un conflitto vivace e buffo, e chiudere con un sentimento di fiducia» racconta il regista livornese.
Dall’oscurità interiore del protagonista si apre il percorso del film, il suo confronto con gli altri. «L’intento del film era quello di scoprire i dilemmi dentro il protagonista. Cosa vuol dire essere un padre, che cosa è una famiglia. Cinque secondi è un film dolorosissimo, ma dentro c’è anche la fiducia verso la possibilità di riparare, di ricominciare a vivere, dopo il dolore e dopo il lutto, attraverso la fiducia e la cura».
La trama, senza rivelare troppo, racconta di un avvocato di successo, interpretato da Valerio Mastandrea, che abbandona la vita urbana e si rifugia nelle stalle di una dimora in rovina. «Se dipendesse da lui non vorrebbe vedere nessuno – dice Virzì – ma all’improvviso arriva un gruppo di ragazze e ragazzi che si installa nella villa, e inizia a occuparsi dei vigneti abbandonati». Fra questi c’è Matilde, interpretata da Galatea Bellugi – l’abbiamo vista come protagonista di Gloria! di Margherita Vicario – e piano piano il silenzio dell’uomo viene vinto.
Sulla scelta di Valerio Mastandrea come protagonista, Virzì è netto: «Se Martin Scorsese l’avesse tenuto impegnato per tre anni, io mi sarei fermato ad aspettarlo. Non lo avrei sostituito con nessun altro attore. Era lui l’unico attore possibile. Per fortuna Valerio mi ha detto subito: “famolo, Pa!”. Ne aveva bisogno, e anch’io».
Valerio Mastandrea, da parte sua, ricorda: «Mi sono commosso alla lettura del primo soggetto, una decina di pagine che Virzì mi ha mandato. È, forse, il personaggio più vicino a me che io abbia fatto nella mia carriera. Un personaggio malinconico, buio, che con Paolo abbiamo cercato di tenere su, con quel modo allegro di essere patetici». E Valeria Bruni Tedeschi, che nel film ha un ruolo piccolo ma importante, dice: «Quando sto sul set con Paolo Virzì per me è come una cura termale, come una bombola di ossigeno. Con lui si ride sempre della tragicità della vita».
Il film è stato girato in gran parte in Toscana. «È una Toscana più ruvida, più imperfetta, non rileccata, ma forse per questo più vera, più intima, fatta di arbusti, di vigne perdute. Gli spigoli di un paesaggio che profuma di ginestra e di rosmarino», dice Virzì. Un film che parla della Toscana più nascosta e più vera. Quella che Virzì ha sempre saputo raccontare, da La bella vita, il suo film d’esordio girato a Piombino, passando da La prima cosa bella, che si apre sui bagni Pancaldi di Livorno, a La pazza gioia girato nel pistoiese e a Viareggio, fino ad oggi, a questa Toscana ruvida e vera, fra silenzi familiari e pensieri che abitano le nostre colline.
