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Accabadora

Accabadora

Autore Michela Murgia

Casa editrice Einaudi, 2009

Pagine 164

La valutazione del Circolo

Che emozione ci ha lasciato il libro?

In collaborazione con Circolo di lettura sezione soci Coop Pisa

I Circoli di lettura sono una comunità di lettori che si ritrovano, una volta al mese, per scambiarsi opinioni e sensazioni su un libro la cui lettura, individuale, è stata decisa di comune accordo.

Trama

Ambientato nella Sardegna anni Cinquanta, retrograda e omertosa, narra le vicende di Maria Listru, la quarta figlia indesiderata di una vedova indigente. La piccola viene adottata all’età di sei anni da un’anziana donna benestante, Bonaria Urrai, mai sposata e senza figli. È la pratica dei Fillus de anima, in cui si affida uno o più dei propri figli ad una famiglia che li accoglie e che spesso ha a disposizione maggiori risorse economiche.
Ma c’è qualcosa nel modo di fare di Bonaria, sarta del paese, che suscita un alone di sospetto e tanta curiosità agli occhi della piccola Maria: la donna nasconde infatti un segreto che svelerà solo al momento giusto. Tradotto in più lingue e apprezzato in tutto il mondo, è la seconda opera della scrittrice sarda Michela Murgia. Il libro ha vinto il premio Dessì, il SuperMondello e, nel 2010, il Premio Campiello.

La citazione degna di nota

“Le colpe, come le persone, iniziano a esistere solo quando qualcuno se ne accorge.”
“Non dire mai: di quest’acqua io non ne bevo.

Le nostre riflessioni

Questo romanzo, breve ma intenso, ha colpito e appassionato tutto il gruppo, grazie alla scrittura evocativa che trasporta il lettore in tempi lontani ma più che mai attuali nelle sue tematiche. È un romanzo di formazione amaro e intenso come la terra aspra che racconta: una Sardegna dalle radici ancestrali, che si mostra dura e selvaggia, ma che custodisce un’anima vibrante e ricca di sentimenti.
Con poche parole, descrive la vita di paese attraverso le sue tradizioni, le superstizioni e le credenze popolari; i dialoghi sono credibili e variegati, con le espressioni sarde che si fondono con l’italiano in modo armonioso, senza ostacolare la comprensione di chi non le ha mai sentite.
Fin dalla copertina, questa storia si rivela suggestiva: lo sguardo della bambina e le candele accese richiamano il mistero della vita e la presenza silenziosa della morte.
La narrazione, sospesa tra sacro e profano, invita alla riflessione sul senso della vita e sul confine tra bene e male. In poche pagine, infatti, si intrecciano temi rilevanti, attuali e urgenti che aprono lo spazio a pensieri profondi e altrettante discussioni. Tra le pagine della Murgia nascono infatti quegli interrogativi che difficilmente trovano risposte risolutive: quando è giusto interrompere una vita?
Quanto è colpevole una persona che aiuta un sofferente ad andarsene? Chi può decidere la vita di qualcun altro? L’autrice affronta magistralmente il concetto di morte, dignità e giustizia attraverso la figura dell’accabadora, colei che accompagna le persone nell’ultimo viaggio.

Abbiamo apprezzato anche il ritratto profondo del rapporto tra Maria e la madre adottiva Tzia Bonaria: un legame emozionante e complesso che si esplicita nella scena dello schiaffo e pone le basi per una riflessione sulla maternità. Bonaria è la sarta del paese, una donna dura e pratica, che padroneggia i riti; Maria cresce con lei imparando l’arte del cucito e osservando il timore negli occhi degli uomini che si rivolgono
all’accabadora.

La scrittura si fa messaggio sociale e politico anche se la scelta dell’autrice di ambientare la storia in un’epoca più lontana la rende più neutra. Altri temi emergono con forza: la famiglia, l’adozione, la spiritualità e il confronto con la Chiesa, nonché l’importanza dell’istruzione soprattutto femminile. Pur nel suo carico tragico, il racconto rifugge ogni commiserazione, rispecchiando la stessa dignità e forza con cui Michela Murgia ha affrontato la propria esistenza.

Lo consigliamo a...

chi cerca romanzi su cui riflettere.
chi ama storie di vite che scuotono coscienze.

Le parole chiave del libro

Figli d’anima

famiglia

emancipazione

malattia

morte