Il cuore è un muscolo straordinario, capace di contrarsi oltre 100.000 volte al giorno per pompare il sangue e alimentare così tutti gli organi. Ogni battito è governato da un segnale elettrico preciso, che nasce in una struttura chiamata nodo seno-atriale, il primo pace-maker (letteralmente: segna-passi) naturale del cuore.
Il segnale elettrico generato dal nodo seno-atriale si propaga ordinatamente e in maniera coordinata a tutte le strutture cardiache, determinandone la depolarizzazione (“eccitazione elettrica”) e, attraverso di essa, la contrazione meccanica, prima degli atri e quindi dei ventricoli, processi che generano una efficiente azione di pompa cardiaca.
Ma quando questo segnale perde la sua regolarità e gli atri iniziano a contrarsi in modo caotico e funzionalmente inefficace, parliamo di fibrillazione atriale (FA), la più comune tra le aritmie sostenute.
Si stima che circa una persona su quattro svilupperà la FA nel corso della vita, soprattutto nel corso dell’invecchiamento. La sua importanza non è legata solo alla frequenza con cui si manifesta, ma anche alle gravi conseguenze che può comportare: ictus, scompenso cardiaco, decadimento cognitivo e peggioramento della qualità della vita.
Che cos’è la fibrillazione atriale?
In condizioni normali, il cuore segue un ritmo sinusale (quello generato, come già detto, dal nodo seno-atriale) regolare, determinato dalla trasmissione ordinata dell’impulso elettrico. In caso di FA, invece, la contrazione degli atri diventa disorganizzata: l’impulso non è più originato da un’unica “centrale” ma da micro-focolai multipli, prevalentemente localizzati a livello delle vene polmonari.
Il risultato è una contrazione atriale inefficace, che riduce il normale svuotamento degli atri nei ventricoli e determina una trasmissione irregolare del battito ai ventricoli stessi. Da qui deriva la sensazione soggettiva di battito accelerato e totalmente irregolare e, sul piano funzionale, la perdita del contributo atriale alla gittata cardiaca (dal 15 al 30%); questo elemento contribuisce all’aumentato rischio di scompenso cardiaco che si associa alla FA.
Perché si sviluppa la FA?
La FA è una condizione eterogenea, e può insorgere sia in cuori strutturalmente sani che in presenza di cardiopatie strutturali.
FA senza cardiopatia strutturale
Nei soggetti apparentemente sani, la FA può svilupparsi senza alcuna alterazione evidente del cuore come, ad esempio, un’anomalia strutturale e funzionale di una valvola cardiaca, oppure la presenza di una malattia delle coronarie che ha eventualmente causato infarto miocardico (cardiopatia ischemica).
In questi casi, con cuore apparentemente normale, la patogenesi della FA sembra legata a:
- anomalie elettriche intrinseche, come l’aumento dell’automaticità o la comparsa di “circuiti di rientro” (una sorta di cortocircuito elettrico) a livello delle vene polmonari;
- infiammazione atriale e stress ossidativo (favorito, ad esempio da obesità e diabete mellito);
- disfunzione del sistema nervoso autonomo, con un’influenza eccessiva del tono simpatico o vagale;
- predisposizione genetica, in alcuni casi familiare.
Anche se il cuore appare normale alle indagini strutturali, possono esistere alterazioni microscopiche o funzionali del tessuto atriale che favoriscono l’instabilità elettrica e la sua progressione verso la FA e la sua cronicizzazione.
FA con cardiopatia strutturale
Molto più spesso, però, la FA è conseguenza o complicanza di una cardiopatia preesistente, come:
- ipertrofia ventricolare sinistra da ipertensione arteriosa di lunga durata e inadeguatamente curata;
- cardiopatia ischemica;
- valvulopatie, in particolare stenosi e/o insufficienza mitralica;
- scompenso cardiaco;
- cardiomiopatie dilatative, ipertrofiche o restrittive.
In questi casi, la dilatazione dell’atrio sinistro, la fibrosi atriale e la disfunzione elettrica secondaria rappresentano il substrato ideale per l’instaurarsi della FA. Questo tipo di FA è spesso più resistente alla cardioversione (l’insieme di trattamenti, farmacologici o elettrici, diretti a interrompere la FA e ripristinare il ritmo sinusale) e, perciò, tende a cronicizzarsi.

I principali fattori di rischio per la comparsa di FA
Molti elementi contribuiscono all’insorgenza della FA, e conoscerli è fondamentale per impostare una prevenzione efficace, in quanto alcuni di essi sono modificabili attraverso la terapia o cambiamenti dello stile di vita.
- Età – L’avanzare dell’età è uno dei fattori di rischio più forti, ovviamente non modificabile. Oltre i 65 anni la prevalenza cresce infatti esponenzialmente e può superare il 10% negli ultraottantenni.
- Ipertensione arteriosa – Responsabile di alterazioni strutturali degli atri secondarie spesso a ipertrofia ventricolare, è presente in oltre il 60% dei pazienti con FA. Il controllo pressorio è una priorità assoluta nella prevenzione.
- Obesità – Il tessuto adiposo viscerale produce citochine pro-infiammatorie che favoriscono la fibrosi atriale. L’obesità è anche associata a sindrome delle apnee notturne che, a sua volta, aumenta il rischio di FA.
- Diabete mellito – Favorisce l’infiammazione sistemica, la disfunzione endoteliale e la fibrosi atriale. Il rischio aumenta ulteriormente se il diabete non è ben controllato.
- Malattie polmonari – La broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), l’embolia polmonare o le infezioni respiratorie possono provocare ipossia, stress atriale e scatenare la FA.
- Alcool e stimolanti – L’assunzione eccessiva di alcol (la cosiddetta “holiday heart syndrome”) è una causa nota di FA acuta parossistica. Anche caffeina, droghe stimolanti o alcuni farmaci possono contribuire.
- Familiarità – Esiste una predisposizione genetica alla FA: in alcuni casi si osserva una ricorrenza familiare, specie nei soggetti che la sviluppano precocemente (prima dei 60-65 anni di età).
Come si manifesta una FA?

I sintomi più comuni includono:
- palpitazioni (sensazione di battito cardiaco irregolare nel torace);
- fatica inspiegata;
- dispnea (sensazione soggettiva di difficoltà respiratoria, magari durante una anche lieve attività fisica, come salire le scale);
- vertigini o senso di testa vuota.
Tuttavia, oltre il 30% dei pazienti è asintomatico, e la diagnosi avviene casualmente tramite un elettrocardiogramma.
Ma, in alcuni casi, la prima manifestazione può essere un evento drammatico, come un ictus ischemico, dopo il quale la FA anche transitoria (la forma così detta “parossistica”) viene infatti sistematicamente ricercata a scopo di prevenzione secondaria.

Le possibili conseguenze della FA
- Ictus cardio-embolico – L’assenza di contrazione atriale efficace favorisce la formazione di trombi, soprattutto in un’appendice dell’atrio sinistro (auricola). Se uno di questi coaguli migra al cervello, può causare un ictus invalidante o addirittura fatale. Per questo motivo, la valutazione del rischio embolico con una scala internazionalmente accettata (score CHA₂DS₂-VASc) è una tappa essenziale nella gestione del paziente con FA di nuova diagnosi, perché fornisce indicazioni fondamentali per iniziare una terapia anticoagulante, fortemente protettiva contro il rischio di ictus.
- Embolie in distretti circolatori arteriosi extra-cerebrali – Circa il 15% delle embolie che partono dall’atrio sinistro in corso di FA arrivano in distretti diversi da quello della circolazione cerebrale, con conseguenze potenzialmente anche molto gravi quali infarti della milza, renali, intestinali od occlusione di arterie degli arti con grave ischemia che richiede trattamento urgente.
- Scompenso cardiaco – Una FA non controllata può peggiorare la funzione ventricolare per aumento della frequenza cardiaca media e perdita del contributo atriale al riempimento ventricolare, e portare allo scompenso cardiaco, con ritenzione di liquidi, affanno, edemi periferici.
- Deterioramento cognitivo – La FA è associata a una riduzione della perfusione cerebrale e a un aumentato rischio di demenza, anche in assenza di ictus conclamati, come confermato da studi con risonanza magnetica cerebrale funzionale e test neuro-cognitivi.
Come si cura la FA?
Obiettivi del trattamento.
- Prevenire l’ictus e gli eventi cardio-embolici periferici tramite terapia anticoagulante (un tempo con warfarin, oggi prevalentemente con anticoagulanti diretti che, almeno a parità di effetto protettivo anti cardio-embolico rispetto al warfarin, sono associati a una sostanziale miglior sicurezza, per riduzione del rischio di emorragie, che è il rovescio della medaglia da affrontare con ogni trattamento anticoagulante).
- Controllare i sintomi attraverso:
– farmaci per rallentare la frequenza ventricolare media;
– farmaci antiaritmici per ripristinare il ritmo sinusale (così detta cardioversione farmacologica), da utilizzare poi anche dopo un eventuale cardioversione elettrica, per favore il mantenimento del ritmo sinusale, riducendo il rischio di recidive della FA;
– controllo di alcuni fattori di rischio modificabili di FA (e delle sue recidive), quali riduzione del peso corporeo eccessivo, controllo ottimale di una ipertensione arteriosa
– ablazione transcatetere dei circuiti in cui si genera la FA (es.: a livello dello sbocco delle vene polmonari in atrio sinistro) nei casi refrattari alla terapia farmacologica, che mostrano recidive dopo una cardioversione farmacologica o elettrica inizialmente efficace.
In ogni caso, l’obiettivo non è solo “controllare il battito”, ma migliorare la qualità della vita e prevenire la progressione della malattia.
Conclusioni
La FA è molto più di un’aritmia cardiaca: è una condizione complessa, multifattoriale e potenzialmente devastante se non diagnosticata o sottovalutata (ad esempio, non prescrivendo immediatamente la terapia anticoagulante indicata). Ma è anche diagnosticabile con strumenti semplici (come l’ECG) e gestibile con terapie efficaci.
Investire nella prevenzione, nel controllo dei fattori di rischio e nella consapevolezza della popolazione può ridurre drasticamente il carico clinico, economico e sociale della FA.
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Le risposte del professor Marchionni saranno pubblicate sul blog “Consigli di salute” dell’Informatore online.