Mesto si snoda il corteo che segue il carro funebre; qualche lacrima dà la misura del dolore che i familiari provano nel momento in cui stanno per dare l’estremo saluto al proprio congiunto.
Man mano che ci si allontana dal feretro, la tensione si allenta e gli ultimi del corteo, i meno coinvolti emotivamente, chiacchierano del tempo e del più e del meno. Tutto questo avviene ancora nei piccoli paesi; in città tutto si svolge in maniera più sbrigativa ed il funerale si snoda velocemente in macchina.
Alla nonna Rosa é stato riservato un funerale diverso, insolito.
Già il carro funebre con la salma é arrivato con largo anticipo ad Ambra, paese natale della nonna e si é fermato davanti a quella che era stata la sua casa per cinquant’anni, per aspettare la Compagnia.
Quest’ultima é un’istituzione antichissima alla quale la nonna aveva versato la propria quota associativa per tutta la vita, per garantirsi la presenza al funerale di una ventina di uomini in là con gli anni con in dosso una tunica bianca ed una mantella azzurra con applicata sopra una croce.
Un uomo soltanto aveva la mantella viola bordata di lustrini con al collo una patera di bronzo, forse si tratta del capo della congrega. Portando un tabernacolo con sotto un grosso crocifisso, la Compagnia ha preceduto per tutto il percorso, fino alla chiesa del paese, il carro funebre.
Alla spicciolata erano arrivati anche i parenti e gli amici che nell’attesa avevano avuto modo di chiacchierare amenamente. E la giornata di ieri si prestava, visto che era bel tempo e faceva caldo.
Il corteo è partito all’ora fissata, sosta in chiesa per le esequie religiose e poi di nuovo si è ricomposto per raggiungere il cimitero.
La strada che dal paese arriva al cimitero attraversa un paesaggio campestre tipico della nostra Toscana, con i campi ormai verdi, i cipressi e qualche casa colonica.
La composizione del corteo era insolita, poichè c’erano tutti i nipoti ed i pronipoti, a piedi o in passeggino, quindi tanti bambini, anche piccoli, che rendevano la situazione più serena, quasi gioiosa.
Si tende a tenere i bambini lontani da questo evento, per risparmiargli il dolore si dice, ma loro, a differenza degli adulti, prendono sia la vita che la morte come un gioco e danno a tutto questo una dimensione diversa, forse quella che bisognerebbe dargli.
Tutto questo mi ha fatto tornare in mente il Cimitirul Vesel che si trova a Sapanta, un piccolo paese situato nel nord della Romania.
Nel cimitero le lapidi sono di legno, a forma di croce in cui oltre alla caricatura del defunto compaiono, sotto forma di bassorilievi, i tratti salienti della sua personalità, accompagnati da frasi ironiche che ne riassumono i vizi e le virtù. Risulta quindi un cimitero “allegro” ed è persino divertente vagare fra le tombe. Nel cimitero si trova poi l’unica chiesa ortodossa del paese, per cui tutte le cerimonie sacre si celebrano qui, allegre o tristi che siano. Il cimitero dunque come luogo in cui si saldano la nascita e la morte, dove la morte si ridimensiona ad evento naturale senza i connotati della paura e del dolore.
Sicuramente la nonna Rosa sarà stata contenta che il suo ultimo viaggio sia stato improntato alla gioia di vivere, lo avrà certamente apprezzato. Il fatto che tutti i nipoti abbiano voluto esserci, portandosi con sé anche l’ultimo nato ha significato che la Rosa era amata da tutti. Durante la sua lunga vita anche lei ha voluto bene a tutti, ed ogni volta che qualcuno andava a trovarla c’era per tutti qualcosa.
Rosa Tigli era nata il 12 dicembre del 1912, a Sogna, un paesino di tre case, vicino ad Ambra, in una famiglia di condizioni assai modeste. La madre, a fatica, aveva tirato su le tre figlie e non poteva certo contare sull’aiuto del marito Sante, meglio conosciuto come Forabotti, per la sua abitudine di andare in giro con un succhiello per poter spillare un po’ di vino dalle botti quando gli capitava.
Sante era un contadino senza terra e vagava per le fattorie a prestare la sua opera, ma stava via da casa anche per degli anni. Rosa, piccolissima, viene mandata a badare le pecore e quando fu l’ora della scuola fu presa in casa dalla “Siciliana”, una maestra di Ambra, ma in questa casa Rosa non imparò a leggere e scrivere, ma faceva le faccende e badava ai figli della signora. Imparò però due cose: a risparmiare su tutto e a cucinare. Entrambe le cose le sarebbero servite in seguito quando con Celestino mise su famiglia.
Una volta sposata andò a lavorare in filanda e nel frattempo tirava avanti la casa e faceva figli. Prima della guerra ne aveva fatti tre, due maschi ed una femmina, che morì all’età di nove anni, con la pancia squarciata da una granata americana. Questa vicenda la fece andar via di senno e ne portò i segni per tutta la vita. Dopo la guerra ebbe altri due figli, fra i quali una femmina alla quale rimise il nome della prima bambina, Maria Pia.
La sua vita è stata caratterizzata dal lavoro, quello duro: tagliava fascine nel bosco e portava a casa mannelli per il fuoco sulle spalle. Divenne anche buona conoscitrice del bosco, dei funghi, degli asparagi selvatici, delle castagne e quando vi andava non tornava mai a mani vuote. Spesso la domenica andavo con lei ed era uno spasso vedere quella donnina piccola e gia’ ricurva inerpicarsi come una capra, instancabile.
In cucina era imbattibile e sapeva organizzare dei pranzi, anche elaborati, con piatti come il pollo in galantina, il latte alla portoghese, l’arrosto girato ed un brodo che era la fine del mondo. Piano piano, un’artrite deformante implacabile l’aveva resa piccola, ripiegata su se stessa, con le mani rattrappite, tanto che non poteva fare più nulla, lei che nel tempo libero aveva sferruzzato e aveva fatto coperte e calzini di lana che i nipoti si contendevano poiché li trovavano molto trend. Negli ultimi anni aveva avuto varie vicissitudini, si era rotta il femore e l’anca e non riusciva più a camminare. Ad un certo punto la cassa toracica, ripiegata sempre di più, le serrava i polmoni impedendole di respirare e vani sono stati i tentativi per farla sopravvivere. A dispetto di tutto ciò è vissuta 88 anni. La morte le ha ridato quella serenità che da tempo aveva perduto.
A cura di Rosanna