Qualsiasi materiale rilasciato in natura crea un potenziale rischio ecologico. L’utilizzo di prodotti in plastica biodegradabile e compostabile, però, riduce in maniera significativa il rischio ecologico, raggiungendo alti livelli di biodegradazione in ambiente marino.
La conferma arriva dai risultati di un programma di studi scientifici curato da Novamont e presentato a Roma lo scorso 2 luglio nel corso di una giornata di studio sulla biodegradabilità marina del mater-bi, quello di cui oggi sono fatte tutte le buste della spesa e anche quelle per l’ortofrutta e altre merci sfuse.
Abbiamo intervistato sul tema Catia Bastioli, amministratore delegato Novamont.
Ci può sintetizzare i risultati di questi studi?
Gli studi presentati sono stati articolati su 3 ambiti: la biodegradabilità intrinseca marina (laboratori Novamont), la disgregazione in ambiente marino (Hydra) e l’ecotossicità rilasciata nei sedimenti per effetto della biodegradazione (Università di Siena) di sacchetti frutta/verdura realizzati in Mater-Bi.
Sulla biodegradabilità in ambiente marino, le prove eseguite dai ricercatori dei laboratori Novamont, hanno dimostrato che il Mater-Bi raggiunge alti livelli di biodegradazione, sostanzialmente uguali a quelli raggiunti dalla carta, in un periodo di test inferiore ad un anno e che non rilascia microplastiche persistenti, in quanto biodegradabili completamente nel giro di 20-30 giorni.
Sulla disgregazione in ambiente marino l’indagine condotta da Christian Lott, ricercatore dell’istituto tedesco di ricerca e documentazione di biologia marina Hydra Marine Sciences GmbH nella base all’Isola d’Elba dell’istituto, ha dimostrato che il tempo necessario per una completa sparizione dei sacchetti frutta/verdura in Mater-Bi si aggira tra meno di quattro mesi a poco più di un anno, a seconda della natura dei fondali presi in considerazione e delle loro caratteristiche chimico-fisiche e biologiche. Nello stesso tempo, campioni di analoghi sacchetti frutta e verdura in Pe (plastica tradizionale) rimangono del tutto integri.
Infine Maria Cristina Fossi e Silvia Casini nel laboratorio Biomarkers e Impatto Plastiche del Dipartimento di Scienze Fisiche della Terra e dell’Ambiente dell’Università degli Studi di Siena hanno analizzato l’ecotossicità delle buste in Mater-Bi su tre specie modello di organismi esposti a estratti (“elutriati”) di sedimenti marini inoculati con Mater-Bi o con cellulosa. Il risultato è che il processo di degradazione del Mater-Bi non ha generato, né trasferito sostanze tossiche in grado di provocare alterazioni nella crescita delle alghe unicellulari, embriotossicità nel riccio di mare e stress ossidativo o genotossicità nella spigola, le tre specie prese a riferimento.
Buone notizie, quindi?
Sì, però non devono assolutamente scoraggiare i comportamenti virtuosi per favorire il fine vita dei prodotti in Mater-Bi, che devono essere recuperati sotto forma di compost insieme ai rifiuti di cucina. Se vogliamo affrontare in modo serio e concreto le sfide ambientali e sociali complesse che abbiamo davanti, infatti, dobbiamo promuovere una logica di economia circolare con al centro la qualità del suolo e dell’acqua.
Quindi sarebbe bene parlare di materiali biodegradabili, ma non “abbandonabili” nell’ambiente?
Esattamente. La differenza è importante e deve essere rimarcata sempre, anche quando il tema sono tempi e livelli di biodegradazione in ambito marino dei prodotti in plastica biodegradabile e compostabile. In altre parole, anche se la scienza conferma che la sostituzione della plastica con la bioplastica riduce in modo importante il rischio ecologico, è bene eliminare ogni concessione a comportamenti irresponsabili e ribadire che il fine vita dei prodotti compostabili deve essere il compostaggio industriale attraverso la raccolta differenziata o, ancora meglio, l’utilizzo per il recupero degli scarti di cucina e del giardino.