«Sono gli insegnanti i veri eroi del nostro tempo», dice Antonio Albanese. Che ha interpretato proprio un insegnante in Un mondo a parte di Riccardo Milani, uno dei film più interessanti di questa stagione.
Nel film, Albanese è un maestro elementare che, da Roma, va a insegnare in un paesino sperduto nell’Abruzzo, fra i lupi e le montagne. In una scuola che stanno per chiudere, perché non ci sono abbastanza studenti. La sua prima reazione è una faccia alla «ma dove sono capitato?». Poi, attimo dopo attimo, scoprirà la bellezza, l’umanità di quella gente. E l’importanza cruciale, essenziale, del suo lavoro. La sintonia con i suoi allievi, che porta in giro fra le montagne, a sentire il respiro del mondo. Con lui, una strepitosa Virginia Raffaele, vicepreside di questa scuola che se ne sta appesa a un filo, piccola fiammella che sta per spegnersi, in un paese che – senza scuola – è destinato a morire.
Antonio Albanese ama questi ruoli. Ama raccontare personaggi minimali, piccoli eroi nascosti. Come nel suo film Cento domeniche, in cui interpreta un uomo onesto, lavoratore, schiacciato da investimenti sbagliati, fatti su consiglio della sua banca. Due storie di provincia, due storie a cui Albanese dà la sua grandissima umanità.
Il film racconta di un maestro che non vuole andarsene, che impara piano piano ad amare i suoi allievi, figli dimenticati della storia. Che cosa ha apprezzato di questo personaggio?
Tutto. La storia, il pensiero di rendere omaggio a una categoria così negletta, così dimenticata, così umiliata come quella degli insegnanti, che invece sono la base, la spina dorsale del nostro Paese. Senza la scuola non c’è crescita, non c’è cultura, non c’è sviluppo. Non c’è progresso, non c’è speranza. E questo film lo spiega benissimo, senza voler fare prediche a nessuno. Chi dimentica la scuola compie un errore gravissimo.
Che studente era, Albanese?
La mia maestra a volte era disperata: diciamo che ero un bambino piuttosto vivace. Abitando fra il lago e il bosco, a Olginate (in provincia di Lecco, ndr), era molto facile per me sentire la tentazione di andare all’aria aperta. Mi ricordo bene però una cosa: questa maestra, come tutti i maestri di allora, aveva una credibilità, un’autorità oggi troppo spesso perduta. Ho letto, poco tempo fa, del papà di un bambino che ha pestato a sangue un insegnante. E non è un caso isolato. Tira un’aria molto poco rassicurante.
Avete incontrato dei maestri, per prepararvi al film?
Sì, molti. E molti di loro erano stupiti che finalmente si parlasse di loro. Si sentono dimenticati, e lo sono.
Che cosa ha pensato di questo mestiere?
Guardi, io ho lavorato in fabbrica, prima di fare l’attore. Pensavo che fosse un lavoro duro: ma avere a che fare con i bambini è ancora più pesante! Un giorno ho incontrato una ventina di scolari: dopo un’ora ero stremato!
È un mestiere pesante…
Ho capito che quello dell’insegnante è un lavoro meraviglioso e pesantissimo. E non finisce quando è finita l’ora in classe. Devi prepararti, studiare, farti venire delle idee, conoscere i bambini uno ad uno, conoscere le loro famiglie, i loro problemi. Il tutto per uno stipendio modesto. Spesso, con la complicazione di dover andare a insegnare in posti lontani, facendo chilometri da casa a scuola. Tutti i giorni, col sole, con la pioggia, con la nebbia. Ho capito che ci vuole un’immensa passione per farlo. Ancora di più, in una società che i maestri li comprende e li apprezza sempre di meno.