«Il nostro è un pianeta meraviglioso: i deserti, gli oceani, le foreste. Da lassù si vede tutto, anche gli angoli più remoti dove non arriva l’uomo. E si vede come sta la Terra e cosa produce il cambiamento climatico».
A parlare è Simonetta Cheli, la prima donna che, da gennaio 2022, dirige i Programmi di osservazione della Terra dell’Esa (l’Agenzia spaziale europea). Senese di origine, nel bagaglio ha studi internazionali in diritto, economia e scienze diplomatiche, una laurea conseguita a Firenze, cinque lingue: con la famiglia ha girato il mondo per lavoro e, oggi, dal centro Esa di Frascati (Roma), dirige un gruppo di 800 persone e ha in mano le informazioni raccolte da 14 satelliti (e altri 39 in cantiere) che monitorano la Terra da 800 km di distanza. Nell’intervista ci ha raccontato cos’è la teleosservazione e quanto è importante per gestire la crisi climatica.
Cosa osservate da lassù?
I satelliti in orbita scandagliano il nostro pianeta dal punto di vista del clima, dell’atmosfera, della vegetazione, di mari e oceani. In Europa abbiamo satelliti meteo, operativi già dagli anni ‘70, e satelliti scientifici che studiano la geodesia, la magnetosfera, l’innalzamento dei mari, l’umidità del terreno. Poi abbiamo i satelliti della famiglia Copernicus che, con strumenti radar e ottici, raccolgono dati sull’evoluzione delle foreste, lo scioglimento dei ghiacci, l’erosione costiera e tanti altri aspetti relativi alle variabili climatiche.
Quali i dati più allarmanti?
La perdita di 9mila gigatonnellate di ghiaccio artico dagli anni ‘60, la riduzione della foresta tropicale e l’allargamento delle aree desertiche un po’ ovunque nel mondo, le alluvioni, l’innalzamento dei mari in continua accelerazione, l’erosione delle coste, la deforestazione e la dilatazione delle megalopoli, che si ampliano a danno della natura.
Solo cose molto negative…
Dallo spazio i cambiamenti della Terra si vedono in diretta e con molta chiarezza, ma si vede anche quando facciamo qualcosa di buono: ad esempio, la riforestazione in alcune zone del Brasile o i piani verdi delle città che producono miglioramenti ambientali. Con lo stop della pandemia, nelle grandi città europee abbiamo rilevato un drastico calo del diossido di azoto, un gas che dà informazioni sulla qualità dell’aria.
Che ruolo gioca la teleosservazione rispetto all’emergenza climatica?
I satelliti compiono un lavoro prezioso che non sarebbe possibile con altri sistemi. Riceviamo tante informazioni convogliate al nostro centro Esa di Frascati, che poi vengono distribuite gratuitamente a scienziati, enti pubblici, Protezione civile, ministeri per l’ambiente e l’agricoltura per gestire le città, le coltivazioni, le conseguenze degli eventi naturali e la scarsità di risorse naturali. Misurare i cambiamenti con dei dati è positivo: poi è determinante lavorare con le istituzioni dei vari Paesi e fornire conoscenze adeguate ai politici che devono compiere le scelte.
Come utilizzare questi dati?
I dati satellitari hanno valenza strategica, economica e di utilità pubblica. Grazie ai satelliti oggi controlliamo l’inquinamento dei mari, seguiamo i movimenti di profughi e migranti, calcoliamo la produzione agricola, per esempio, dell’Ucraina. Possiamo dare ai cittadini informazioni sulla qualità dell’aria, agli agricoltori consigli su irrigazione e cure per le piante, prevedere una carestia dallo stato dei terreni o comprendere quali siano le colture più adatte per produrre cibi sani.
Dal suo osservatorio, quale la “prossima frontiera” dello spazio?
È fondamentale che nei prossimi anni vengano lanciati tutti i satelliti che l’Esa ha in via di sviluppo. L’altra sfida è integrare nell’osservazione della Terra le nuove tecnologie digitali, come l’intelligenza artificiale, che ci aiuteranno nell’elaborazione, nell’automazione e nella velocità, per garantire agli utenti l’accesso ai grossi volumi di dati.
Come è nata la sua passione per lo spazio?
Sono del ‘63: chi, in quegli anni, non fu affascinato dall’allunaggio? Poi è stata una passione crescente nel tempo, anche legata agli studi che ho fatto: mi sono laureata a Firenze con una tesi sul diritto internazionale dei satelliti per le telecomunicazioni. Ricordo la perplessità del professore quando chiesi la tesi. Era Antonio Cassese, il famoso giurista, che mi mandò a fare ricerche alle Nazioni Unite. Poi quella passione è diventata un lavoro, che dall’88 svolgo all’Esa.
Una diplomatica al servizio degli scienziati: come è arrivata a ricoprire un ruolo così importante?
Negli anni, ho integrato i miei studi con le conoscenze scientifiche: ho lavorato con tante persone straordinarie e ho cercato di imparare sul campo, da tutti. Non c’è una ricetta ma gli ingredienti sono prima di tutto lo studio e la preparazione, uniti a umiltà, buoni rapporti interpersonali, molto impegno e buona capacità organizzativa.
Ha saputo conciliare carriera, studio continuo, vita all’estero e famiglia. Quindi, tutto è possibile?
Si può fare, si può conciliare, forse un po’ più all’estero che in Italia ma credo che anche da noi le cose stiano gradualmente migliorando. Ho due figli ormai grandi, a cui abbiamo sempre dedicato tutto il nostro tempo al di fuori del lavoro. In famiglia è importante aiutarsi e farsi aiutare. E ricordarsi che il successo non è lavorare 24 ore al giorno ma trovare un equilibrio fra lavoro e vita personale.