Se da una parte è una leggenda quella che attribuisce a un gallo nero “affamato” – e quindi più mattiniero del solito – la divisione del territorio del Chianti fra Siena e Firenze, è sicuramente un dato reale il bando del 1716 con il quale il granduca di Toscana Cosimo III fissa i confini della zona di produzione del vino Chianti, oggi Chianti Classico.
Ma non solo, nello stesso anno Cosimo emanò anche un altro bando che istituiva una congregazione di vigilanza sulla produzione, spedizione e commercio del vino e contro le contraffazioni, già esistenti all’epoca.
È invece del 1872 la prima vera “ricetta” del vino Chianti e a formularla fu il Barone di Ferro, Bettino Ricasoli, che scriveva «…mi confermai nei risultati già ottenuti nelle prime esperienze, cioè che il vino (Chianti) riceve dal sangioveto la dose principale del suo profumo, dal canajolo l’amabilità che tempera la durezza del primo e la malvagia che ne accresce il sapore e lo rende più leggero e più adoperabile all’uso della tavola quotidiana».
La tappa successiva è il 1924, quando alcuni viticoltori fondano un consorzio in difesa del proprio vino, il primo in Italia. «Nel 1924 furono 33 i viticoltori, visionari – afferma Giovanni Manetti, presidente del Consorzio -, possiamo dirlo oggi a distanza di 100 anni, ad avere un progetto comune e a decidere di creare il Consorzio: la loro visione fu quella di credere nell’unità di intenti, nella forza della collettività, perché solo così si poteva gestire una produzione che potesse parlare di un intero territorio. Questi 33 “padri fondatori” furono lungimiranti anche nel pensare per primi alla necessità di rendere visibile e riconoscibile la qualità del loro vino scegliendo un’immagine, un emblema del territorio: il Gallo Nero divenuto simbolo di qualità, autenticità e identità. A distanza di un secolo, i soci del Consorzio sono diventati 500, ma gli obiettivi che ci accomunano sono gli stessi del 1924: proteggere il vino che nasce da un territorio altamente vocato e di rara bellezza e accompagnare i viticoltori nell’affrontare i mercati di tutto il mondo».
Per ricordare questo importante anniversario nel mese di maggio si svolgerà un convegno a Palazzo Vecchio a Firenze e verrà presentato un libro dedicato alla storia del Consorzio.
Ma non si deve pensare che i protagonisti di questa avventura legata all’agricoltura siano solo uomini, tutt’altro. Oggi, infatti, sono sempre di più le donne presenti nel mondo del vino italiano, come attesta anche una recente indagine sulle aziende associate del Consorzio Vino Chianti Classico (che fra l’altro è diretto da Carlotta Gori, coadiuvata da uno staff a maggioranza “rosa”), che ha mostrato una nuova luce sul mondo del lavoro al femminile nelle campagne tra Firenze e Siena.
Il dato più rilevante riguarda proprio la distribuzione di genere tra gli impiegati del mondo del Gallo Nero: in media infatti la percentuale delle donne in azienda sfiora la metà (44%). Fra queste si contano le proprietarie o comproprietarie di aziende vitivinicole, che sono in numero pari agli uomini. I ruoli apicali di direzione sono ricoperti da donne nel 42% di casi, in cui però spesso vi è coincidenza con la proprietà, data la struttura spesso a conduzione familiare delle aziende chiantigiane. È il lato commerciale che vede una maggioranza femminile, come responsabile marketing-commerciale (60%).
«È sempre più rilevante l’interesse delle giovani nel settore della viticoltura, uno dei motori trainanti del nostro Paese – aggiunge Manetti -. Le nostre università di riferimento (Firenze, Pisa, Siena) formano in maniera eccellente ogni anno una nuova coorte di studentesse che si volgono spesso con curiosità verso le eccellenze toscane qual è il Chianti Classico. Siamo orgogliosi infatti di avere tra le nostre produttrici alcuni dei volti sempre più noti dell’enologia nazionale, e nelle nostre aziende giovani donne che lavorano con passione quotidiana».
Secondo la leggenda
Ai tempi dei guelfi e ghibellini si stabilì di fissare il confine tra Firenze e Siena, lì dove si sarebbero incontrati due cavalieri partiti dalle rispettive città al canto del gallo. I fiorentini tennero a digiuno un galletto nero che dette il via con largo anticipo, garantendo così un territorio più ampio alla città del giglio.