Trama
Georgia, prima metà dell’800. Cora, una schiava della piantagione di Terence Rendall, sta preparando la sua fuga, per sfuggire alla dura vita all’interno del campo. Ha sentito dire dell’esistenza di una ferrovia sotterranea che collegherebbe gli Stati del Sud, tradizionalmente schiavisti, agli Stati del Nord, dove già la popolazione bianca sta lottando per l’abolizione della schiavitù.
La via per raggiungere la ferrovia e per avervi accesso è lunga e molto pericolosa. Purtroppo le spedizioni dei negrieri, continue e feroci, mettono a repentaglio la vita dei fuggiaschi e di chi li nasconde, e la ferrovia stessa non è un raccordo sicuro e non si sa quando i treni possono passare.
Durante la fuga nel bosco con l’amico Caesar, Cora viene assalita da due negrieri. Per difendersi uccide uno dei due, un ragazzino di soli 12 anni. Perduto anche Caesar, Cora fugge impaurita, e sconvolta giunge nella fattoria di Martin ed Ethel, una coppia che da molto tempo svolge l’ attività clandestina di raccordo fra i fuggiaschi e la ferrovia. Qui vive per alcuni mesi nascosta in una soffitta, in preda all’ansia e al terrore di essere scoperta e uccisa. Ma i negrieri arrivano anche lì, lei sarà fatta prigioniera da chi la cercava da tempo, non morirà ma lascerà dietro di sé ancora morte e dolore. Martin ed Ethel pagheranno con la vita la loro generosità.
L’ultima parte del romanzo segna una cesura nell’economia generale del racconto: Cora, in attesa di raggiungere un luogo dove finalmente godrà della libertà, lavora, da libera, per la fattoria di Valentine, un luogo dove, con gli altri compagni, avrà finalmente l’opportunità di vivere una vita dignitosa, in cui ci sarà spazio anche per l’amore. Ma che libertà è se si è sempre costretti a fuggire e a nascondersi?
Il finale apre alla speranza, il viaggio verso la libertà è iniziato. L’America apre le sue porte, anche se la costruzione del suo sogno rivela delle fondamenta macchiate di sangue e basate sulla repressione di tutti coloro non deputati a farne parte.
La citazione degna di nota
L’unico modo per sapere quanto a lungo si è rimasti smarriti nelle tenebre è essere salvati.
Le nostre riflessioni
Romanzo durissimo e di denuncia, La ferrovia sotterranea vincitore del Premio Pulitzer e del National Book Award, colpisce per la sofferenza e l’angoscia della tragedia della persecuzione dei neri in America nell’800.
Scritto nel 2016 riscopre una tragedia di cui non si parlava più da tempo, ma traslando, tragicamente attuale per altri popoli e che comunque ha lasciato strascichi pesanti, presenti ancora oggi nella società americana e non solo.
La parola che è stata usata per definirlo da parte dei partecipanti al circolo è “sconvolgente”: per le condizioni di crudeltà e di cattiveria alle quali sono stati esposti non soltanto gli africani, ma anche chi cercava di proteggerli e liberarli.
Una persecuzione verso persone accomunate solo dal colore della pelle e da niente altro, “…con cento lingue diverse, con diverse usanze, con diversi mezzi di sussistenza”, che esercitano mille mestieri diversi, provenienti da un continente immenso quale quello africano. Originale è l’idea della ferrovia sotterranea che forse è una creazione letteraria, simbolo delle connessioni che si crearono per operare la liberazione dei fuggiaschi.
Il libro ha suscitato rabbia, angoscia e dolore, la tratta degli schiavi è stata paragonata alla tratta degli ebrei e a ogni discriminazione esercitata sui popoli in età contemporanea fino ad arrivare ad oggi, un tempo che vede ancora discriminazioni e violenza, e dolore e lotte che finiscono nel sangue.
Profonda è l’espressione dei sentimenti di paura, umiliazione, ansia, tensione continua sul filo della morte.
Il libro ha interessato i partecipanti del circolo che ne hanno riconosciuto il valore di documento. Tuttavia il gruppo è stato concorde nel considerare il romanzo vincitore di premi un’opera importante per la testimonianza più che per il valore letterario.
La narrazione pecca infatti di una certa ripetitività, sia nelle scene di atrocità e violenza, che nella trama, e talvolta, ad alcuni dei lettori, è risultato faticoso. L’approfondimento psicologico è blando sia dei personaggi, sia della protagonista. Nell’insieme colpisce ma non emoziona, documenta ma non si impone per la qualità della prosa.
Il dibattito si è arricchito di molti riferimenti cinematografici e librari. A molti ha ricordato il film/libro “12 anni schiavo” di Solomon Northup, e ancora il film “Greenbook” di Peter Farrelly, vincitore di tre premi Oscar nel 2019 e ancora “Django” di Tarantino per il ritmo e infine il libro/film “The Help”.
Una lettura impegnativa ed impegnata, una lettura per non dimenticare.