Si chiama Tmc, cioè Termine minimo di conservazione, lo si trova impresso sulle confezioni e indica una cosa diversa dalla scadenza. Da qualche tempo è stato esteso a yogurt e altri prodotti Coop. Ma cosa cambia per il consumatore?
Il termine minimo di conservazione, secondo il regolamento Ue 1169/2011, è «la data alimentare conserva le sue proprietà specifiche in adeguate condizioni di conservazione». La dicitura che troveremo in etichetta è dunque: “Da consumarsi preferibilmente entro il…” o “entro fine…”, a cui seguono data o anno. Consumando il prodotto poco dopo quella data, si rischia solo che il gusto e la consistenza non siano buoni come prima. Una soglia indicativa, quindi, non una prescrizione tassativa.
Altra cosa è la scadenza vera e propria degli alimenti, sulla quale è bene essere scrupolosi: una volta passata questa data, infatti, non è più assicurata la salubrità. In questo caso, troveremo in etichetta la dicitura fino alla quale un prodotto “da consumare entro”, seguita dalla data.Quando un alimento è scaduto, infatti, c’è il rischio di proliferazione di microrganismi, alcuni dei quali patogeni, cioè dannosi per l’uomo: è il caso, in particolare, di pesce crudo, carne e formaggi freschi. Dunque, successivamente alla data di scadenza un alimento è considerato a rischio e va tassativamente buttato.
Piccoli numeri, grandi conseguenze
La Commissione Europea stima che fino al 10% degli 88 milioni di tonnellate di sprechi alimentari prodotti ogni anno nell’Unione sia connesso proprio all’indicazione della data di scadenza sui prodotti alimentari. Un piccolo numero che ha grandi conseguenze. Così anche l’Efsa – l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare – sta promuovendo l’uso del Tmc, con apposite linee guida, e invita a fornire informazioni chiare e corrette sulla confezione.
«Termine minimo di conservazione e data di scadenza rientrano fra le indicazioni obbligatorie che per legge devono essere riportate sull’etichetta degli ali- menti – spiega Florinda Sgroi, specialista in materia, dell’ufficio legale di Coop Italia -. In generale, sui prodotti freschi solitamente va inserita la data di scadenza, mentre sui pro- dotti da dispensa come biscotti, brioche, cereali, fette biscottate, pasta, riso e conserve, va inserito il termine minimo di conservazione».
In alcuni casi è la stessa normativa a prevedere che sull’etichetta degli alimenti vada riportata proprio la data di scadenza (come nell’ortofrutta fresca confezionata in busta) e non il Tmc. «Solo per latte e uova esistono scadenze definite per legge – spiega Renata Pascarelli, direttrice Qualità e sostenibilità di Coop Italia -, negli altri casi la responsabilità è del produttore».
Ci sono anche alcuni prodotti “esentati”: l’indicazione del termine minimo di conservazione non è obbligatoria per quelli che si conservano molto poco o, al contrario, molto a lungo. Parliamo nel primo caso dell’ortofrutta fresca non sbucciata e tagliata, pane e prodotti da forno, e nel secondo caso dei vini e delle bevande con almeno il 10% di alcol, gli aceti, il sale da cucina, lo zucchero solido, i confetti e le gomme da masticare.
Posso mangiarlo?
Ma non è facile destreggiarsi per capire dopo quanti giorni dalla data del Tmc un alimento sia ancora commestibile. «Purtroppo, non ci sono standard universalmente validi: molto dipende dal tipo di prodotto, dalle sue modalità di produzione, da come viene trattato e conservato nella catena distributiva e dopo l’acquisto – spiega Antonello Paparella, professore di Microbiologia Alimentare della Facoltà di Bioscienze e Tecnologie Agroalimentari e Ambientali dell’Università di Teramo -. Per esempio, il latte ha di solito una scadenza estremamente restrittiva. Per quello fresco alta qualità, che è migliore dal punto di vista microbiologico, si può superare la data di scadenza di qualche giorno, purché conservato adeguatamente anche a casa: cioè nei ripiani più freddi del frigo e non dove di solito lo mettono tutti, nello sportello, che ha una temperatura di 6°C invece dei 4 neces- sari. Mentre lo yogurt, che contiene una comunità microbica potente e selezionata, è abbastanza resistente a temperature leggermente più alte del dovuto. Non è un problema consumarlo entro 3-5 giorni dopo il Tmc».
Una buona norma, comunque, è esaminare gli alimenti, annusarli e assaggiarli prima di consumarli, anche se non sono in scadenza, per assicurarsi che siano stati ben preparati e conservati.
Quando l’apparenza inganna
In altri casi l’approccio ai prodotti che hanno superato la data impressa sulla confezione deve essere più cauto: «Dopo la scadenza, anche se un alimento appare normale non è detto che sia sicuro – continua Paparella -: possono svilupparsi microrganismi che producono tossine pericolose. Per esempio, le verdure conservate non in aceto e lasciate a lungo in frigorifero non vanno neppure assaggiate: dopo l’apertura, quando il pH è superiore a 4,5 si può formare la tossina botulinica. Non altera il sapore, ma ne basta una quantità minima per correre rischi molto seri. La valuta- zione di assaggio si può fare invece per una fetta di pro- sciutto crudo, un biscotto, il pane, lo yogurt, una confettura acida (che contiene succo di limone o acido citrico e similari dichiarati in etichetta, che rendono il pH acido e tale da non consentire uno sviluppo batterico, ndr)».
Altri alimenti per i quali, secondo l’esperto, è bene non superare la data impressa in etichetta sono quelli altamente deperibili come le uova, le insalate e le verdure in busta. Per la pasta secca, i biscotti, le spezie, le salse, il tonno e la carne
in scatola, si può essere più flessibili: «Il tonno scaduto a dicembre posso aprirlo, annusarlo e guardarlo prima di consumarlo anche a febbraio: è un prodotto sterile, al massimo si può ossidare e non avrà più un gusto gradevole, ma non è pericoloso anche se vado oltre di uno o due mesi. Lo stesso per miele e confetture, che di solito hanno una scadenza di alcuni anni».
Sono da buttare invece pasta, riso e legumi che hanno fatto le “farfalline”: gli insetti hanno banchettato nei sacchetti, alterato il prodotto e lasciato le loro deiezioni.
Oltre al botulino, a svilupparsi in alcuni alimenti può essere un altro batterio, la listeria. I prodotti a rischio in questo caso sono soprattutto il salmone affumicato, gli affettati confezionati di carne e di pesce, i formaggi erborinati, quelli molli come il taleggio o che presentano muffe naturali come il gorgonzola e il brie: anche questi vanno tenuti nei ripiani più freddi del frigo, dopo l’apertura devono essere consumati nel giro di tre giorni al massimo e, se sono prossimi alla data di scadenza, sarebbe meglio cuocerli prima di mangiarli. Altro caso di cibo a rischio sono i würstel, che vanno sempre cotti per evitare problemi (un’indicazione riportata anche nelle etichette, ma che non tutti rispettano).
E i surgelati?
Un potente alleato nella lotta allo spreco di cibo in casa può essere il congelatore, con qual- che accortezza. Anche nel freezer, se non utilizzato a dovere, possono nascondersi alcuni pericoli. « raccomandabile non superare le date indicate anche sulle confezioni dei pro- dotti surgelati – spiega il professor Paparella.- ed è la stessa cosa per gli alimenti congelati a livello domestico, per i quali non c’è una indicazione univoca sulla conservabilità. Teniamo conto che più un prodotto è grasso, meno si può estendere la sua vita utile, perché i grassi si ossidano anche alla temperatura di congelamento. Se congelo a casa un branzino, che è un pesce magro, si manterrà anche per 9 mesi. Il salmone, che è un pesce grasso, no. La pancetta e il lardo ancora meno: 3 mesi al massimo, che possono arrivare a 6 se il congelatore è nuovo e ben funzionante».
Una buona strategia per allungare la vita dei prodotti vicini alla scadenza può essere quella di cuocerli e congelare il piatto cotto, per- ché con la cottura si elimina buona parte dei problemi microbiologici e il congelamento blocca la proliferazione dei batteri: «E non bisogna congelare i prodotti vicini alla scadenza senza cuocerli: quando andremo a scongelarli, la superficie esterna raggiungerà per prima la temperatura ambientale e potrebbe produrre tossine. Mentre si possono cuocere gli alimenti surgelati e congelarli di nuovo, cotti».
Sempre meglio dividere il cibo in piccole quantità, possibilmente monoporzioni e assicurarsi il buon funzionamento del reparto freezer: se ci sono segni di sbrinatura, non consumare i prodotti, a meno di non cuocerli nell’immediatezza.
Quanto dura nel freezer?
Stuzzichini vari (tramezzini, tartine): 2/4mesi
Piatti precucinati (ragù, lasagne, pasticci): 3 mesi
Verdure cotte: 4 mesi
Verdure crude e legumi: 12mesi
Carne di manzo: 9 mesi
Carne di agnello: 6 mesi
Carne di maiale: 4 mesi
Pollame: 4 mesi
Pesce magro: 9 mesi
Pesce grasso (sgombro, salmone, aringhe): 3 mesi
Crostacei: 3 mesi
Pasta fresca: 5 mesi
Non è facile capire per quanto tempo dalla data del Tmc un alimento resti commestibile, perché non ci sono standard universalmente validi: dipende dal tipo di prodotto, dalle modalità di produzione e di conservazione.