Se bastassero dei simboli per fermare la guerra avremmo già trovato la soluzione, ma questo non può lasciare spazio all’indifferenza e al cinismo, che cadono soltanto quando il dramma e la tragedia lambiscono le nostre porte. I simboli, in realtà, sono importanti perché rappresentano l’opposto della guerra, che separa, divide, polarizza, mette in contrasto e si alimenta di una parola maledetta: “nemico”.
Che cos’è il nemico? Una costruzione, l’elemento che catalizza in sé la minaccia, vera o presunta, la esaspera e la proietta sul volto dell’altro stimolando paura, angoscia, ostilità, allontanamento. Questa la dinamica interna di ogni guerra che non ci fa più riconoscere come fratelli, ed è quello che è successo fra ucraini e russi, che sono stati da secoli culturalmente, storicamente, geograficamente, fratelli.
Il simbolo è il contrario del nemico, perché unisce. Storicamente la parola simbolo indicava due pezzi di un legno, una tavoletta, o altro materiale, che veniva diviso in due, in maniera non netta, e che una volta riunito si ricomponeva perfettamente, diventando in questo modo un segnale di riconoscimento e di fratellanza. L’esistenza di simboli è dunque fondamentale per la pace perché ci fanno riconoscere come fratelli e sono una sorta di vaccino culturale contro la guerra.
La piccola gru di carta costruita dalla bambina di Hiroshima colpita dalla bomba atomica, la bandiera arcobaleno in cui si riconosce tutto il popolo dei pacifisti senza confini, la colomba con il ramoscello d’ulivo, sono i simboli tradizionali che continuano a svolgere la loro funzione. Ma ce ne sono anche altri che hanno una forza ancora maggiore, perché nascono da fatti concreti e ci riportano alla realtà, e non a un’immaginaria idea di pace. Pensiamo alla foto del giovane di piazza Tienanmen che obbliga la fila di carri armati a fermarsi e a deviare, proponendo in qualche modo un’alternativa all’aggressione. E, prendendo spunto dalla cronaca di guerra più recente, anche l’immagine del contadino ucraino che dialoga con il soldato russo alla guida del mezzo corazzato impantanato ed è costretto a chiedere aiuto, è un grandissimo simbolo di pace, perché nasce dall’esperienza e rappresenta l’irresistibile desiderio di non rinunciare al dialogo di un uomo disarmato davanti a un’arma bellica, un disperato tentativo di pace che significa: «Soldato che sei dentro quel ferrovecchio, sei ancora mio fratello».
Ci sono anche i luoghi simbolo di pace, a partire dalla Basilica di Assisi, ma anche la stessa Rondine, dove abbiamo creato la nostra Cittadella, per molti è un simbolo di pace per la sua esperienza concreta di ospitalità di giovani che la storia ha condannato a essere nemici, ma che si oppongono a questo destino e, vivendo insieme, si riconoscono come amici, nonostante il fallimento dei genitori e degli adulti che governano i loro Paesi. Una testimonianza e un enorme simbolo concreto di cosa vuol dire la parola pace.