Dante fu maestro nell’uso dei lessici tecnici, esperto del mondo delle arti e, specialmente, della pittura. La sua sensibilità artistica, oltre che la profonda conoscenza del mondo dell’arte, si esplica in vari luoghi della sua opera.
Nel capitolo XXXIV della Vita nuova, ad esempio, Dante presenta sé stesso nell’atto di disegnare figure d’angeli «sopra certe tavolette»:
In quello giorno nel quale si compiea l’anno che questa donna era fatta de li cittadini di vita eterna, io mi sedea in parte ne la quale, ricordandomi di lei, disegnava uno angelo sopra certe tavolette; e mentre io lo disegnava, volsi li occhi e vidi lungo me uomini a li quali si convenia di fare onore, e riguardavano quello che io facea, e secondo che me fu detto poi, egli erano stati già alquanto, anzi che io me ne accorgesse. Quando li vidi, mi levai, e salutando loro dissi: «Altre era testé meco, perciò pensava». Onde partiti costoro, ritornaimi a la mia opera, cioè del disegnare figure d’angeli…
In questo celebre passo, la descrizione di Dante si svolge intorno a due termini particolarmente importanti: tavoletta e disegnare. Tavoletta entra nella lingua italiana proprio con questa occorrenza della Vita nuova, con ogni probabilità appresa da Dante da quell’ambiente delle arti – degli speziali in particolare – col quale aveva una certa familiarità. Anche il verbo disegnare, parola al giorno d’oggi così frequente da far parte del lessico fondamentale dell’italiano, si documenta in italiano nel senso preciso e tecnico di ‘rappresentare graficamente un’immagine’ proprio a partire dalla Vita Nuova. Le occorrenze del verbo nella Commedia confermano poi l’uso tecnico e la profonda conoscenza dantesca dell’arte del disegno: ciò è evidente ad esempio nella correlazione col verbo colorare a Purg. XXII 73-75 («Per te poeta fui, per te cristiano: / ma perché veggi mei ciò ch’io disegno, / a colorare stenderò la mano»), notata sin dagli antichi commentatori come esemplare del metodo pittorico, che prevede prima il disegno e poi la stesura del colore.
Nella Commedia, la preziosa sensibilità artistica di Dante risulta evidente soprattutto nel Purgatorio, la cantica di mezzo, la più dolce e la più “terrena” delle cantiche, dove regnano l’amicizia, la musica e, appunto, l’arte.
Due casi esemplari sono senza dubbio i canti X e XI del Purgatorio. Nel primo, troviamo una vivida descrizione della parete di marmo della prima cornice del monte, adorna di splendidi riquadri istoriati e delle cui sculture, scolpite da Dio stesso («Colui che mai non vide cosa nova / produsse esto visibile parlare», vv. 94-95), sembra quasi possibile percepire parole, odori, suoni: questi intagli che adornano la parete di candido marmo raffigurano tre grandi esempi di umiltà e sono descritti da Dante come «sì, che non pur Policleto, / ma la natura lì avrebbe scorno».
Nel canto XI invece, dove si purgano le anime dei superbi, Dante incontra il miniatore Oderisi da Gubbio:
«Oh!», diss’io lui, «non sè tu Oderisi,
l’onor d’Agobbio e l’onor di quell’arte
ch’alluminar chiamata è in Parisi?».
«Frate», diss’elli, «più ridon le carte
che pennelleggia Franco Bolognese;
l’onore è tutto or suo, e mio in parte
[…]
Oh vana gloria de l’umane posse!
com’ poco verde in su la cima dura,
se non è giunta da l’etati grosse!
Credette Cimabue ne la pittura
tener lo campo, e ora ha Giotto il grido,
sì che la fama di colui è scura…»
In questi bellissimi versi dedicati alla vanità e alla caducità della gloria umana, risaltano i verbi alluminare e pennelleggiare (vd.), che indicano l’arte del miniare: sono probabilmente «prelievi arditi di terminologia iper-specialistica (compaiono uno di séguito all’altro, in un vero fuoco di fila, un’esplosione di colori e immagini, nel canto XI del Purgatorio)» (Frosini, Dante disegnatore, p. 89).
Questo brano riveste dal punto di vista artistico un’importanza notevole.
Infatti, il più grande critico d’arte del Novecento, Roberto Longhi, nelle sue Proposte per una critica d’arte, attribuisce proprio a Dante e a questi versi di Purg. XI nientemeno che l’atto fondativo della critica d’arte:
Sui primi del Trecento un uomo che guarda certi fogli di un libro di diritto, miniati da un pittor bolognese del tempo, si avvede che quelle carte «ridono». Dante, perché si tratta di lui, fonda con quella frase, e proprio nel cuore del suo poema, la nostra critica d’arte. Lasciamo stare il peso sociale del passo, dove, per la prima volta, nomi di artisti figurativi son citati alla pari accanto a nomi di grandi poeti. Conta di più l’astrazione intensa dai soggetti di quelle carte ch’erano, c’è da presumerlo, scene atroci di torture legali, eppure le carte «ridono» nella rosa dei colori. Conta altrettanto il rapporto posto, per dissimiglianza, tra Franco e Oderisi che già afferma il nesso storico fra opere diverse, nega cioè l’isolamento metafisico e romantico dell’«unicum», distrugge il mito del capolavoro incomunicante e imparagonabile. Conta, più di tutto, che Dante abbia subito qualificato quei colori con un sentimento di gioia ridente.
Lo stesso Longhi, peraltro, attinge largamente all’ampio repertorio lessicale della Commedia e non è raro che la presenza di Dante nella sua riflessione critica si espliciti in vera e propria citazione.
Dante disegnatore, dunque, Dante maestro e conoscitore d’arte; ma anche e soprattutto Dante che, come sempre, ci fornisce ancora, a distanza di secoli, le parole per rappresentare ogni sfumatura e ogni colore della realtà.
( A cura di Chiara Murru, Accademia della Crusca)
Bibliografia
- Giovanna Frosini, Dante disegnatore in «In principio fuit textus». Studi di linguistica e filologia offerti a Rosario Coluccia in occasione della nomina a professore emerito, a cura di Vito Luigi Castrignanò, Francesca De Blasi, Marco Maggiore, Firenze, Franco Cesati Editore, 2018, pp. 83-93.
- Roberto Longhi, Proposte per una critica d’arte, «Paragone», I, pp. 5-19, poi ristampato in volume singolo con prefazione di Giorgio Agamben, Pesaro, Portatori d’acqua, 2014.
- Chiara Murru, Eppure le carte «ridono». Roberto Longhi e la Commedia di Dante, in La lingua italiana, Treccani, 22 aprile 2021.
- Chiara Murru, «Quasi dopo un viaggio dantesco». Le parole di Dante negli scritti di Roberto Longhi, in «Studi di Lessicografia Italiana», n. XXXVIII, pp. 319-346.
- Veronica Ricotta, Per il lessico artistico del medioevo volgare, in «Studi di lessicografia italiana», 30, 2013, pp. 27-92.
- VD = Vocabolario Dantesco, in elaborazione presso l’Accademia della Crusca con la collaborazione dell’Istituto CNR Opera del Vocabolario Italiano, consultabile in rete all’indirizzo www.vocabolariodantesco.it