I vaccini dell’era globale: una storia di successi

Al centro commerciale di Ponte a Greve il microbiologo italiano, prof.Rino Rappuoli, intervistato dalla giornalista Ilaria Ulivelli de La Nazione, ha presentato il suo libro "I vaccini dell'era globale", scritto in collaborazione con Lisa Vozza, divulgatrice scientifica

Una storia di successi. Si potrebbe riassumere così il volume di Rino Rappuoli “l vaccini dell’era globale” presentato dall’autore venerdì 18 dicembre al Centro Commerciale Ponte a Greve a Firenze. Un libro “che dimostra come i vaccini siano i nostri maggiori alleati per sconfiggere la pandemia” spiega Rappuoli, microbiologo e direttore scientifico e responsabile dell’attività di ricerca e sviluppo esterna presso Glaxo Smith Kline Vaccines di Siena, intervistato dalla giornalista de La Nazione Ilaria Ulivelli.

Rispetto alla stretta attualità, che per il Covid si chiama Omicron “questa nuova variante ha molte più mutazioni delle precedenti e sta viaggiando a una velocità enorme, vediamo i numeri dell’Inghilterra e degli Stati Uniti ad esempio. Oggi è presente anche in Italia, ma qui abbiamo qualche settimana di vantaggio” aggiunge Rappuoli, affermando che “di Omicron sappiamo tutto, anche che è meno suscettibile ai vaccini attualmente a disposizione. Questo significa che le persone che hanno fatto solo due vaccinazioni, magari qualche mese fa,   possono essere infettate più facilmente, mentre la terza dose ci difende di più. D’altronde sembra che Omicron dia una malattia meno grave, ma anche questo è stato dimostrato soprattutto nei vaccinati”.

Il ruolo del vaccino nel salvare la vita dal Covid, ma anche da altre malattie nel passato, si vede nei numeri di queste settimane, con decessi nettamente inferiori all’anno scorso: “Un secolo fa in Italia un bambino su tre non arrivava a cinque anni, perché moriva di malattie infettive, ora non succede più e questo perché ci sono i vaccini. Se oggi viviamo più a lungo, è perché abbiamo sconfitto molte malattie infettive” dice Rappuoli.

Rispetto al movimento no vax, “tante risposte ai maggiori dubbi si trovano nel libro, da come nascono i vaccini a come funzionano, se sono sicuri per i bambini e quale è la loro efficacia” sottolinea il professore, che spiega anche perché sono necessarie più dosi per immunizzarsi: “Le persone sono dubbiose rispetto alla terza dose e alla possibilità di altre dosi, ma questo è frutto di una incomprensione di base: per i vaccini per le malattie come il Covid, che il nostro corpo non conosce, servono prima e seconda dose e poi i richiami, come per altre malattie”.

Per questo, rispetto alla necessità di una quarta dose “non sappiamo ancora cosa succederà, dipenderà dalle varianti che si svilupperanno e che potrebbero aver bisogno di un vaccino più specifico: la terzo dose ci dovrebbe immunizzare almeno un anno, poi potrebbero diventare opportuni richiami periodici, come accade per l’antinfluenzale”.

Ma come mai nonostante tutto siamo ancora in mezzo alla pandemia e quando finirà?
“Difficile predirlo rispetto a un virus che conosciamo da due anni solamente – risponde Rappuoli – ma che in questo periodo ci ha comunque dimostrato come la ricerca sia fondamentale, perché i vaccini ci hanno ridato la libertà, hanno fatto ripartire l’economia e questo perché la scienza e la ricerca ci hanno dato i vaccini. Tuttavia la pandemia ha messo in evidenza anche l’egoismo della nostra società, con Paesi ricchi vaccinati con prima, seconda e terza dose e Paesi poveri dove solo il 6-7% della popolazione è vaccinata. Pare che pochissimi, a parte la Coop si siano attivati per vaccinare l’Africa: un’azione indispensabile per proteggere gli altri, ma anche noi, vista la velocità con cui si diffondono le varianti”.

Sugli anticorpi monoclonali, complementari ai vaccini, che servono una volta che la persona si è ammalata, Rappuoli e il suo team sta studiando “quelli di seconda generazione, molto potenti, che si possono dare con iniezione e sono meno costosi di altri, ma in Italia si è assistito ad un problema burocratico per la sperimentazione, relativo alla privacy dei pazienti. In Toscana si è trovata una soluzione, quindi, nonostante i tempi più lunghi, si sta procedendo” conclude il professore.

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