Trama
Dopo l’11 settembre, alla vigilia di nuovi bombardamenti e violenze, nel fuggi fuggi generale, Gino Strada decide di ritornare in Afghanistan insieme all’affiatata collega Kate, con l’obiettivo di riaprire l’ospedale di Emergency a Kabul, che era stato chiuso in primavera a seguito di una rappresaglia talebana. Così ha inizio un viaggio lungo, contorto e a tratti disperato, verso la città resa inaccessibile dall’imminenza degli scontri armati. Sarà necessaria perseveranza, resistenza, conoscenze e diplomazia per raggiungere la meta.
A dispetto del titolo (scelto da Cecilia, figlia dell’autore e dedicataria dell’opera) questo libro non parla del gioco nazionale afghano, racconta però una realtà dolorosa, atroce e complessa, quella della pluridecennale occupazione dell’Afghanistan, di un popolo oppresso e ridotto a carcassa, conteso brutalmente dai potenti della Terra. Una lettura appassionante che svela importanti retroscena sulla guerra al terrorismo oscurati dai media: spiega i motivi per cui talebani, pachistani, russi e americani si contendono rabbiosamente il controllo di Kabul.
I personaggi
Conoscevamo già, come tutti, l’autore protagonista Gino Strada e il suo impegno come medico e attivista di Emergency, ma leggendo Buskashì abbiamo imparato a conoscerlo e ad apprezzarlo moltissimo anche nella sua scrittura, semplice e immediata, eppure così incisiva e coinvolgente, in particolare nelle splendide descrizioni paesaggistiche del paradiso afghano offuscato dalle mostruosità della guerra.
In questo diario di guerra, ci ha colpite inoltre la rappresentazione del generale Massud, leader dell’Alleanza del Nord, conosciuto come il Leone del Panchir. Bello soprattutto il passaggio in cui raccomanda a Gino, Kate e allo staff di Emergency di fare qualcosa di concreto per le donne afghane: non discorsi e manifesti, ma posti di lavoro all’interno dell’ospedale.
La citazione degna di nota
Gafur. Un civile? Un talebano? Un terrorista? Un mujaheddin? Soltanto un uomo. Che probabilmente morirà oggi, 13 novembre, prima vittima nella Kabul “liberata”, una delle tante vittime di questa storia cominciata il 9 settembre 2001 (p. 10)
Si parla della guerra: la facciamo o non la facciamo, con chi stiamo, che posizione prendiamo, come la combattiamo. Parlare, discutere, litigare sulla guerra. E viverla? […] Questo è il vero confine, quello più difficile da attraversare. Fare propria, rispettare l’esistenza degli altri, quello che stanno provando, non ignorarla solo perché riguarda “altri” anziché noi stessi. Perché se uno di noi, uno qualsiasi di noi esseri umani, sta in questo momento soffrendo come un cane, è malato o ha fame, è cosa che ci riguarda tutti. Ci deve riguardare tutti, perché ignorare la sofferenza di un uomo è sempre un atto di violenza, e tra i più vigliacchi. (p.60)
Le nostre riflessioni
Abbiamo scelto di leggere questo libro per due motivi: in memoria dell’autore che ci ha da poco lasciati e, parallelamente, alla notizia della fuga degli Stati Uniti dall’Afghanistan e del ritorno dei talebani.
Ciò che ci ha scandalizzate, al di là della prevedibile ferocia delle milizie, è la fuga da Kabul di ONU, CROCE ROSSA e tutte le altre organizzazioni umanitarie al momento dello scoppio della guerra, cioè nel momento stesso in cui c’era maggior bisogno del loro intervento sul territorio.
Pensiamo che la guerra in Afghanistan non è mai veramente finita: come l’autore, crediamo fermamente che non esistono “guerre umanitarie” e che l’accostamento di queste due parole sia un controsenso vergognoso. La guerra è sempre ingiusta e il popolo afghano è vittima indifesa degli interessi politici ed economici delle maggiori potenze mondiali.
Lo consigliamo a...
A chiunque voglia aprire gli occhi e la mente sulla realtà della guerra.
Le parole chiave del libro
Diritti umani
guerra
storia
Afghanistan
terrorismo
verità